Gorizia-Monfalcone, la lotta degli ospedali

Brancati, Mattassi e Fasola; il mancato nosocomio di via Toscolano, il completamento del San Polo: ecco perché l’Isontino è spaccato
Di Roberto Covaz
Bumbaca Gorizia 14.09.2013 Ex Ospedale Civile Fotografia di Pierluigi Bumbaca
Bumbaca Gorizia 14.09.2013 Ex Ospedale Civile Fotografia di Pierluigi Bumbaca

Chiusura del Punto nascita di Gorizia: come si è arrivati a questo epilogo? Ricostruire la storia della sanità isontina degli ultimi vent’anni può aiutare a capire.

Venerdì 11 luglio 2014 la presidente della Regione Serracchiani decreta la chiusura del Punto nascita. Venerdì 2 luglio 1993 inizia la settima legislatura del Consiglio regionale. È questo il lasso di tempo che va preso in considerazione per comprendere quanto sta accadendo.

Un passo indietro. Nell’ottobre del 1980 viene costituita l’Unità sanitaria locale n 2 Isontina. Prima, le strutture sanitarie, ospedali compresi, facevano capo ai Comuni. L’Usl non parte bene, i primi cda sono litigiosi, spesso ingombrati da politici trombati o in rampa di lancio. Subito, emerge la contrapposizione tra Gorizia e il Monfalconese. Gianpiero Fasola è ancora un ragazzino.

Si chiudono gli ospedali di Cormons e di Grado. Gorizia ne necessita di uno nuovo. Nel 1987 è pronto il progetto della cittadella sanitaria in via Vittorio Veneto, a pochi metri di distanza c’è ancora la Jugoslavia. Sono previsti il rifacimento del blocco operatorio e l’ampliamento del Pronto soccorso. La giunta regionale approva il progetto nel 1988, ma poco dopo lo stoppa. Nel frattempo è entrata in vigore la legge che attribuisce alle Regioni il compito di progettare e distribuire i fondi statali. Si stabilisce che l’ospedale di Gorizia non andrà oltre i 470 posti letto rispetto agli 800 previsti in prima istanza.

Monfalcone, nel frattempo, deve fare i conti con il malconcio ospedale di via Rossini inaugurato nel 1925.

Nei primi anni Ottanta viene ampliato con due orrendi padiglioni che sembrano giganteschi loculi. Prima dell’istituzione dell’Usl, il Comune di Monfalcone decide che il nuovo ospedale verrà costruito ai piedi del Carso, nel rione di San Polo. Ci saranno il poliambulatorio e l’ospedale vero e proprio. Il poliambulatorio è pronto già alla fine degli anni Ottanta.

Del futuro ospedale non c’è traccia per svariato tempo.

La Slovenia proclama l’indipendenza nel giugno del 1991. I vicini non fanno più paura e c’è chi intuisce le potenzialità della collaborazione sanitaria transfrontaliera. Mario Brancati, democristiano e fedelissimo di Biasutti, è assessore regionale alla Sanità. Mantiene la carica sia con le tre giunte Biasutti che con la giunta Turello. Gorizia è un capoluogo potente e in Regione ha un peso notevole. Ci sono Brancati e prima ancora Devetag, Pagura e soprattutto Tripani, il dottor sottile della politica isontina. La giunta regionale su proposta di Brancati delibera la costruzione di un nuovo ospedale in via Toscolano, da realizzarsi dietro al civile, a pochi centimetri dalla Slovenia. La Regione mette a disposizione 90 miliardi di lire.

Ma ecco implodere la Democrazia Cristiana e gli altri sodali del pentapartito, ecco lo scatenarsi del pool Mani pulite, ecco che anche la Dc regionale è triturata nel fango delle indagini. Nel Settentrione irrompe la Lega Lombarda, che subito muta il nome in Lega Nord. Stravince con la neonata Forza Italia le elezioni regionali, conquista la presidenza della Provincia di Gorizia con Monica Marcolini. Tra i consiglieri isontini più votati compare Gianpiero Fasola, a sorpresa candidato della Lega Nord e che ancora più a sorpresa diventa assessore regionale alla Sanità con la giunta Fontanini. Fasola è un cognome che è una garanzia a Monfalcone. Il padre di Gianpiero, Vittorio, socialista di vedute moderne, è uno dei più apprezzati pediatri del territorio. Aiuta a far nascere in casa decine e decine di monfalconesi altrimenti costretti a rivolgersi a Gorizia per le stesse ragioni per cui è stato chiuso il Punto nascita goriziano: la fiducia dei ginecologi verso un reparto di maternità piuttosto che un altro. Ma torniamo al dottor Gianpiero Fasola, oncologo. Non ha nulla a che fare con gli accenti grevi dei leghisti, è un uomo razionale, preciso, prudente all’eccesso. Si capisce, però, che non lascia nulla al caso. La giunta Fontanini su proposta di Fasola vara la riforma del servizio sanitario regionale. Stop alla costruzione di nuovi ospedali, via libera alla ristrutturazione del Maggiore di Trieste e al completamento del San Polo e di quello di Palmanova. La copertura degli interventi è assicurata dai 90 miliardi destinati a Gorizia. Mario Brancati ingaggia una battaglia durissima contro Fasola, spalleggiato nel Monfalconese dalla neonata associazione Sesamo, che fra gli altri comprende il primario di Chirurgia Giovanni Pamich reduce dal trascorso goriziano, politici, gente comune. Brancati non trova altrettanto seguito a Gorizia. Il capoluogo in Consiglio regionale conta solo Mauro Larise, poco più di una meteora. Sindaco è appena stato eletto Gaetano Valenti, forse ancora acerbo per guidare la rivolta.

Brancati per salvare il salvabile propone la costruzione di un ospedale unico provinciale a Gradisca. Non ci sta il Monfalconese. Luigi Blasig, consigliere regionale del Psi, porta l’assemblea di Trieste a schierarsi contro l’ospedale unico. Che sarebbe stato un compromesso, non una scelta. Se Gorizia avesse ottenuto i 90 miliardi per il suo ospedale li avrebbe destinati all’ospedale unico?

Cade la giunta Fontanini, Fasola non è più assessore. Subentra la giunta di centrosinistra guidata da Renzo Travanut. Assessore alla sanità è Giorgio Mattassi, importante esponente del Pds della Bassa. Nemmeno lui ne vuole sapere dell’ospedale unico. Ha i soldi per Palmanova, cosa vuole di più? È un altro nemico di Gorizia? Il capoluogo è sempre più solo. Il suo peso politico precipita a livello regionale. Finché nell’ottava legislatura spunta la giunta del centrodestra guidata da Roberto Antonione. Assessore alle Finanze è Ettore Romoli. È lui che assicura il finanziamento di 50 miliardi di lire per il nuovo ospedale di Gorizia. Ma c’è un colpo di scena: non si farà in via Vittorio Veneto ma si decide la ristrutturazione del San Giovanni di Dio di proprietà dei Fatebenefratelli. Dai 50 miliardi di lire previsti il costo dell’ospedale lieviterà a 170 miliardi di lire, compresi i 20 miliardi che la Regione assicurò ai frati nel 1973 per il futuro San Giovanni, destinato a struttura per lungodegenti inaugarata nel 1983, chiusa dopo una decina d’anni e che la Regione riacquista spendendo altri denari e assicurando anche la sistemazione di villa San Giusto.

La storia recente del San Giovanni di Dio è nota. Appena inaugurato altri soldi per la bonifica dell’amianto, per i serramenti e per le pitturazioni. Resta il mistero delle sale operatorie non conformi agli standard di sicurezza previsti per i Punti nascita.

La richiesta che la Casa del parto sia costruita al Parco Basaglia è l’implicita ammissione del grave errore commesso nella localizzazione dell’ospedale lontano dal confine. Un ospedale sul confine avrebbe probabilmente rafforzato la sanità goriziana, potenziale esempio virtuoso di cosa significa il nuovo orizzonte della sanità in ambito europeo. E chiudere un Punto nascita calato in un simile contesto sarebbe stata un’operazione politicamente imbarazzante, soprattutto per un centrosinistra dall’europeismo spinto e dal riformismo come quello rappresentato da Debora Serracchiani.

Tante volte è dall’autocritica che si trova l’energia per ripartire e per scacciare i fantasmi del complotto.

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