Gorizia, l’Aas difende il 118: rispettate le regole
«Protocollo». «Procedure di emergenza». Termini tecnici, forse un po’ freddi, forse difficili da comprendere per chi ha perso un proprio caro, ma che l’Azienda sanitaria Bassa Friulana-Isontina ha tirato in ballo più volte per chiudere il caso-ambulanza, lanciato dal goriziano Luca Gregori attraverso una denuncia ai carabinieri.
I fotogrammi
della vicenda
Semplifichiamo al massimo. Gregori aveva chiesto di poter ottenere un’ambulanza per portare la madre all’ospedale di Gorizia: non era un suo capriccio volerla trasportare nel nosocomio del capoluogo di provincia, la sua richiesta partiva dal fatto che la dottoressa che aveva in cura la madre dializzata gli aveva suggerito di portarla o farla portare «preferibilmente» a Gorizia.
Da qui, la richiesta di un’ambulanza. Ma il Protocollo non prevede un simile scenario. Le procedure di emergenza dicono che il paziente deve essere trasportato nell’ospedale più vicino, in questo caso Monfalcone essendo la donna residente a Doberdò del Lago. Ma lui voleva venisse portata a Gorizia...
In altre parole, quanto accaduto ha preso origine dalla richiesta del figlio di far trasportare l’ammalata a Gorizia anziché all’ospedale più vicino, cioè quello di Monfalcone, come previsto dalle procedure di emergenza che puntano a garantire la massima tempestività dell’intervento. Insomma, il “Protocollo”, le “Procedura di emergenza” non lo prevedevano.
«E i Protocolli non ce li siamo certamente inventati a Gorizia. Queste procedure sono attive in tutto il mondo», ha spiegato il direttore generale dell’Aas Bassa Friulana-Isontina Giovanni Pilati: il malato deve essere trasportato nell’ospedale più vicino e Monfalcone dista meno chilometri da Doberdò rispetto a Gorizia.
Quesiti
inevasi
Ma a Gorizia c’erano ambulanze a disposizione in quei momenti? Non è stato chiarito durante la conferenza stampa. E un’ambulanza che parte da Monfalcone può portare il paziente a Gorizia? No, il Protocollo non lo prevede.
Ed è probabilmente attorno a questo che ruota l’intera vicenda. «L’Azienda sanitaria - ha esordito Pilati, accompagnato dal direttore sanitario facente funzioni Gianni Cavallini - ha fatto le verifiche del caso e noi oggi parleremo di quelle che si basano su aspetti certi e non su opinioni. Abbiamo appreso che c’è una denuncia ai carabinieri ma, ad oggi, non abbiamo ricevuto alcuna richiesta di chiarimenti».
Ha proseguito Pilati: «La telefonata è arrivata al 118 alle 19.55 e 36 secondi. In quel momento, erano a disposizione a Monfalcone un’ambulanza e due automediche. Nei dieci minuti successivi, poi, si sono rese disponibili altre due. E lo dice un sistema informatizzato, non manipolabile. La chiamata si è conclusa alle 19.57. La donna, trasportata in ospedale dal figlio, è stata presa in carico dal Pronto soccorso alle 20.37. Non mi sembra sia passato un secolo. Il codice di entrata, secondo il triage, era il giallo».
Secondo punto scandito da Pilati: «La vicenda non va ascritta al nuovo Piano dell’emergenza perché il sistema attuale esiste dal 1998». Terzo punto: «L’Azienda si difenderà sino all’ultimo istante. Non voglio che il personale sia diffamato».
Nessun attacco
agli operatori
Un aspetto sul quale Gregori, tuttavia, non ha mai voluto insistere: ovvero attaccare il lavoro svolto dai sanitari del 118. Non a caso il figlio della donna deceduta, sin dal primo minuto, ha dichiarato: «Non ce l’ho con gli operatori sanitari che fanno quello che possono. Ce l’ho con un sistema che non funziona: questo è il prezzo dei tagli. Non ho la preparazione necessaria e non sono nemmeno così avventato da dire che, se ci fosse stata l’ambulanza, oggi mia madre sarebbe viva. Ma manca la controprova». Durante la conferenza stampa, infine, non è stata fatta sentire la registrazione della chiamata di Gregori al 118.
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