Gorizia, la resa delle suore: chiuso il convento del Nazareno

Le madri si sono già trasferite nella residenza di Cormons. La denuncia di Laura Fasiolo (Pd): «Un altro depauperamento per la nostra città. Bisogna fare qualcosa perché questo eccezionale patrimonio non venga abbandonato»
Bumbaca Gorizia Convento via Brigata Pavia
Bumbaca Gorizia Convento via Brigata Pavia

Crisi delle vocazioni. Scarso, se non nullo, ricambio generazionale. Età che avanza fra coloro che sono rimaste.

Sono le motivazioni alla base della chiusura della Casa del Nazareno di via Brigata Pavia, la sede storica più prestigiosa della congregazione delle suore della Provvidenza.

L’annuncio viene dall’ex dirigente scolastica ed esponente di spicco del Pd Laura Fasiolo che non nasconde la sua preoccupazione per quest’ennesimo depauperamento della città. E conferme arrivano da madre Lucilla che evidenzia come delle 15 suore che risiedevano in via Brigata Pavia, 10 si sono già trasferite a Cormòns e cinque in varie comunità d’Italia. «Francamente non so quale sarà il futuro della struttura che oggi è chiusa», spiega molto telegraficamente madre Lucilla.

Più propensa a parlare Laura Fasiolo. «Dal 4 giugno le suore si sono trasferite da Gorizia nella residenza di Cormons. Una resa, visti gli insostenibili costi di gestione e la mancanza di risorse umane. Ancora, un pezzo di storia se ne va, e nel silenzio s’immiserisce ulteriormente la città. Valorizzare le potenzialità della sede di via Brigata Pavia che racconta ben 105 anni di storia di Gorizia, sarà un’impresa per la congregazione - spiega senza troppi giri di parole l’esponente del Pd -. È auspicabile l’intervento degli enti locali, per quanto stremati dalla spending review e dal patto di stabilità. Al futuro del Nazareno, almeno della sua parte ancora invenduta, bisogna comunque pensarci, e in tempi brevi».

La congregazione delle suore della Provvidenza, a Gorizia, era un’istituzione. Fondata a Udine nella metà dell’Ottocento da San Luigi Scrosoppi (1804-1884), canonizzato nel 2001, primo santo friulano dopo Paolino di Aquileia, seguì la mission del fondatore, attento interprete delle sfide del suo tempo nel sociale, in particolare nell’educazione delle cosiddette “derelitte”, orfane ed emarginate. «Dopo l’insediamento nella casa di Cormòns (1866), le suore della Provvidenza sentirono la necessità di una sede a Gorizia. Nel 1905 - ripercorre Fasiolo – acquistarono un terreno in via Brigata Pavia (allora Pinausig), sul quale fu edificata la grande Casa del Nazareno, luogo di formazione delle giovani postulanti e novizie, allora numerose. Il Nazareno divenne sede del governo generale nel mondo, quindi di quello provinciale. Dal 1919 al 1959, per ben 40 anni, il Nazareno diede alloggio all’Ospedale civile, essendo la struttura di via Vittorio Veneto inagibile a causa dei bombardamenti della Grande guerra. Così, nel 1931, sempre nella stessa sede, fu fondata la scuola Infermieri professionali, assistenti sanitarie e caposala (tra le prime in Italia), che lì permase fino 1959, anno del definitivo trasferimento in via Vittorio Veneto, in cui si concluse l’attività nel 1997».

Ma anche la struttura della Scuola convitto di via Vittorio Veneto 185, conosciuta come sede storica della Scuola Infermieri, della medesima Congregazione, è «ad alto rischio per analoghi motivi e si sta spegnendo nella generale indifferenza. Sembra sia stata vana l’opera capillare, durata un decennio, volta a sensibilizzazione il mondo politico e culturale per un riutilizzo della struttura, adeguandola ad esigenze più rispondenti ai bisogni del territorio. Definitivamente soppressa nel 1997, quando con D.L. 502/30.12.1992 la formazione infermieristica transitò dal ministero della Sanità al ministero dell’Università e Ricerca e fu affidata ad uno specifico corso di laurea, nei tanti decenni di attività vide diplomarsi oltre 2000 infermiere. Fu un grave errore, uno dei tanti, non aver colto l’ opportunità di collocare, per continuità, a Gorizia il corso di laurea in Infermieristica. Ne avremmo avuto titolo. Forse “altra” sarebbe stata la storia della nostra dibattuta e immiserita realtà ospedaliera», conclude amaramente Laura Fasiolo.

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