Gorizia, la città dei morti con la valigia

In 130 anni quattro diversi camposanti. E in quello della Grassigna sconvolto dalla guerra ora sorge Nova Gorica

di Roberto Covaz

Michel de Montaigne diceva che i cimiteri sono pieni di persone che si ritenevano uniche, fondamentali e indispensabili. Al cimitero di Trieste la tomba di Tiberio Mitri è costruita come fosse un ring. Ad Asiago Mario Rigoni Stern riposa in terra, con la croce rivolta alle sue amate vette, stessa direzione di Nikolaevka: la terra è coperta di piccoli sassi bianchi dove i suoi tantissimi lettori gli hanno scritto una dedica. Eterna. Pare che le ultime parole pronunciate dall’allenatore Nereo Rocco rivolgendosi al figlio siano state: “Dame el tempo”. Ormai agonizzante, Giorgio Almirante, fondatore del Msi, disse all’infermiere comunista che lo soccorreva: “Peccato non aver più tempo, avrei fatto diventare missino anche te”.

I morti riposano in pace e ci mancherebbe con tutto quello che la vita impone di fare. Ma ci sono morti e morti e pace e pace. A Gorizia in 130 anni i morti non hanno fatto a tempo ad addormentarsi per bene che han dovuto sloggiare quattro volte. Morti con la valigia, sotto piogge di bombe e cortine di ferro. Quello che si conosce della lunga storia dei camposanti goriziani lo si deve a Clemente Furlani, inquilino di una robusta tomba al parco uno, sulla sinistra, del centrale. Ha molto amato il suo mestiere che era la morte degli altri ed è morto facendo assai bene l’amministratore dei cimiteri. Sua la puntigliosa ricostruzione storica redatta il 13 giugno del 1958, nel quarantennale dell’attuale cimitero. Prezioso documento fornitoci dal paziente Luciano Piccotti, responsabile comunale dei cimiteri, uomo fidado dell’assessore Sergio Cosma.

Il primo cimitero censito risale al 1325 in quella che oggi è piazza Sant’Antonio. Tre anni fa, nel corso della ristrutturazione, sono riemersi segni inequivocabili. Dal 1351 ne esisteva uno più ampio nell’attigua piazza Duomo, oggi Cavour. Verso la metà del Cinquecento fu adibito a cimitero della città il sagrato della chiesa di San Giovanni Battista, oggi via San Giovanni. I morti si spostano verso nord e nel 1682 è attivo il camposanto in braida Vaccana (via Formica e dintorni), cioe l’ex terreno (braida) dei sovrani del Castello. L’originale chiesetta di Sant’Antonio era la cappella del cimitero.

A Gorizia muoiono in troppi e nel 1760 le autorità requisiscono la proprietà di un Grusovin proprio sotto la Castagnavizza, lungo via Cappella. Morti in salita, pure, a Gorizia. Si arriva al primo novembre del 1823 quando viene consacrato il nuovo cimitero nella zona a sud della città. È quello che oggi conosciamo per Parco della Rimembranza. Quel cimitero chiude il 31 agosto del 1880. Gorizia si sta allungando con belle palazzine liberty verso la stazione meridionale e i morti devono sloggiare. Il giorno dopo viene inumata la prima salma in località Grassigna. Non è un buon posto per morire perché le caratteristiche geologiche del terreno ostacolano la decomposizione. Ci penserà la prima guerra mondiale a uccidere quei morti una seconda volta. Trent’anni dopo la Grassigna diventerà il primo nucleo di Nova Gorica. Agosto 1916 è la prima redenzione di Gorizia. Al maggiore dei carabinieri Sestilli, nominato commissario straordinario del Comune, viene affidato il compito di costruire un nuovo cimitero. Sarà chiamato “Cimitero degli eroi” e si trovava nella zona di via Faiti, chiesa dei Cappuccini. In pieno centro e l’estate torrida del 1916 non aiuta. I morti puzzano e la gente protesta. A qualcosa servirà pure l’Italia, no? Mica si protestava sotto l’Austria. Il 14 aprile del 1918 il Comune espropria la famiglia Doliach di un vasto terreno di fronte all’aeroporto. Non sanno ancora, all’epoca, che dal 16 settembre del 1947 quelli diventeranno “gli ultimi morti d’Italia”. Gli unici a farsi un baffo di graniciari e compagnia bella.

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