Gorizia, i genitori di Stefano Borghes, caduto nel pozzo: «Non cerchiamo vendette»
GORIZIA «La famiglia di Stefano non cerca vendette. Vuole soltanto che tragedie immani come quella che l’ha colpita non abbiano più a ripetersi e che la cultura della prevenzione e della sicurezza nei luoghi pubblici e privati divenga impegno costante e prioritario. Per tutti».
A scandirlo con chiarezza Salvatore Spitaleri, difensore della famiglia Borghes nel procedimento penale aperto per la morte di Stefano, il bambino precipitato lo scorso 22 luglio in un pozzo nel parco di palazzo Coronini-Cronberg di Gorizia. Fa sapere di essere in attesa degli sviluppi sul versante delle indagini.
«Ad oggi, non ci è stato comunicato nulla ma, a breve, potrebbero esserci degli aggiornamenti. Aspettiamo l’esito della perizia sul pozzo, effettuata dalla Procura. Fino a quando non conosceremo i risultati, rimarremo fermi e non ci affideremo ad altre perizie di parte. Nutro e nutriamo grande stima nel lavoro svolto dalla dottoressa Iozzi».
I mesi sono passati ma, in città, continua ad essere forte la commozione. «La famiglia – racconta il legale – sta tentando di vivere questa tragedia con un grande coraggio e con un’immensa dignità. La fede la sta aiutando. Ripeto: nessuno vuole una vendetta anche perché la scomparsa di un figlio è irrisarcibile. Semmai, quello che la mamma e il papà chiedono è di alzare il livello di protezione dei nostri ragazzi rispetto ai luoghi che frequentano abitualmente. La morte di Stefano deve diventare uno stimolo a prestare più attenzione rispetto a questi temi. Indubbiamente, il tredicenne è stato vittima certo di un caso, ma si tratta di un decesso che, molto probabilmente, poteva essere evitato».
Parole chiare, scandite con forza, in attesa che vengano accertate tutte le responsabilità di una vicenda indiscutibilmente molto complessa, viste le mille implicazioni e sfaccettature. Il decesso di Stefano era avvenuto nel corso di una gara di orienteering organizzata nell’ambito del centro estivo promosso dal coordinamento delle parrocchie di Gorizia ed era emerso che i partecipanti erano stati divisi in 4 gruppi: 3 da due persone e 1 da tre. In totale c’erano quindi 9 minori, ad accompagnarli 4 animatori maggiorenni. Il rapporto dunque era di poco superiore a un adulto per due ragazzi e comunque di un animatore per gruppo. Spetterà alla Magistratura stabilire se i numeri erano congrui. —
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