Gorizia, dipendente di Isontina Ambiente morì alla guida. Compagna e sorella espongono uno striscione sulla 56bis: «Verità per il nostro Gianni»
GORIZIA Faceva caldo, c’era il sole. Era il 17 agosto 2019. E la bella giornata estiva venne funestata da un brutta tragedia. Gianni Visintin, goriziano, 55 anni, dipendente di Isontina Ambiente era al volante di un camion dell’azienda che si occupa della raccolta dei rifiuti. Trasportava materiali ferrosi di scarto e stava percorrendo la 56 bis. Poco prima del ponte sull’Isonzo, l’imponderabile. Per una tragica fatalità, la parte retrostante del mezzo, che ospitava una gru, centrò l’infrastruttura quando buona parte del camion si trovava già sotto il ponte. L’impatto, secco e violentissimo, provocò il più classico degli effetti-leva, facendo impennare la cabina fino a schiacciarla contro la parte superiore del manufatto. Gianni Visintin morì sul colpo.
Ad un anno e mezzo dal terribile incidente, su quel cavalcavia, è comparso uno striscione con una scritta vergata con lo spray: “Un uomo non muore mai, se c’è qualcuno che lo ricorda. Ciao Gianni”. C’è un cuore e si ricorda la data del 17 agosto. Ad installarlo la compagna Debora Del Degan e la sorella dell’operaio morto sul lavoro, Claudia. «Abbiamo voluto dare vita a quest’iniziativa perché l’immane tragedia non può cadere nel dimenticatoio - spiega Debora -. Siamo fermi a quel giorno, a quel maledetto 17 agosto che ci portò via una persona eccezionale. Tutto è rimasto fermo, non si sa più nulla, nessuna udienza, silenzio da parte della Procura. Capisco che è un periodo difficile, cadenzato dalla pandemia e dalle conseguenze del Covid-19, ma qualcosa deve iniziare a muoversi. Chiediamo, anzi pretendiamo chiarezza. Verità per Gianni». Oggi, inoltre, è San Valentino.
Debora, che sta vivendo con grande dignità e forza la scomparsa dell’uomo della sua vita, ricorda quell’agosto del 2019. «Avevamo appena rimesso a posto la casa di Lucinico in cui, oggi, sono costretta a vivere da sola. L’abbiamo condivisa per trenta giorni. Trenta giorni appena. Poi, la tragedia, la sua morte, una parte di me e di noi che viene a mancare all’improvviso. Non si può, non si deve dimenticare». Sì, lo striscione vuole, semplicemente, ricordarlo. Ma vuole essere anche un segnale «a chi di dovere» affinché venga fatta piena luce su quanto accaduto. «Chiamateci la banda dello striscione», trova il tempo di sorridere Debora. Già nell’agosto scorso, a un anno esatto dall’incidente, lei e Claudia installarono un altro striscione. Sempre su quel cavalcavia, sempre nella stessa posizione. «È obbligatorio non morire sul lavoro. È obbligatorio tornare dalla propria famiglia. Ciao Gianni», scrissero in quell’occasione. In molti lo notarono ma quel ricordo non riuscì a “smuovere” l’iter giudiziario e la ricerca delle responsabilità. Debora vuole anche riservare un pensiero a Claudia, sorella del compianto Gianni. «Mi sta sempre vicino. È una persona speciale. Anzi, è come avere una mamma adottiva. Grazie». —
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