Golfo di Trieste sempre più caldo, pesci in fuga

«Se le temperature del mare continueranno a salire, in 20 anni sarà desertificato, senza più vita»
Non proprio come il Mar Morto, ma l’Adriatico (e con esso il golfo di Trieste) rischia di diventare in futuro una specie di piscina in cui progressivamente andranno a sparire la flora e la fauna marina. La risposta all’allarme lanciato da Alfonso Pecoraro Scanio, alla vigilia della Conferenza nazionale sui cambiamenti climatici al via oggi a Roma, arriva dagli esperti dell’Ogs.


Il surriscaldamento della Terra nella sua globalità e, quindi, anche della superficie del mare, con la derivante scomparsa di micro-alghe, la conseguente interruzione della catena alimentare marina alla sua base e la progressiva riduzione nell’assorbimento di anidride carbonica (con aumento dell’effetto serra per la mancanza di precipitazioni) potrebbero portare infatti tra 20-30 anni a una situazione comunque estrema, anche se un po’ diversa da quella paventata da Pecoraro Scanio, pure nella zona triestina.


«Stiamo assistendo ad un progressivo impoverimento del mare Adriatico - spiega
Paola Del Negro
, biologa dell’Ogs, Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale - per il quale tra almeno vent’anni si potrebbe materilizzare una situazione molto simile a quella di una piscina, un contesto quasi oceanico cioè con pochissimi micro-organismi e pesci. La prospettiva invece che si formi una palude non è supportata al momento da dati sufficienti». I mutamenti climatici comportano al momento un doppio rischio: «Oltre ad avere meno alghe e pesci - prosegue la Del Negro -, ci potremmo trovare sempre più a fare i conti con specie tossiche di organismi.


L’aumento di batteri patogeni comporterebbe dei pericoli maggiori direttamente per i bagnanti. Ovvio che a questo quadro andrebbero a sommarsi le difficoltà per i pescatori: senza micro-alghe, ovvero il loro nutrimento, i pesci non sopravviverebbero». L’aumento della temperatura del mare nel golfo di Trieste è un fenomeno innegabile: «Rispetto al periodo 1991-2003 c’è stato ultimamente un innalzamento di due gradi e mezzo nel periodo estivo. Il problema è che in tutto l’Adriatico c’è stata una forte riduzione negli apporti dati dalle acque dolci, dai fiumi: veicolano sostanze inquinanti, ma allo stesso modo contengono tanti nutrienti per gli organismi che popolano il mare.


Ora, invece, è in corso una sorta di desertificazione di flora e fauna marine collegata appunto al caldo eccessivo. La soluzione a queste problematiche? La ricerca di laboratorio in cui si forzano alcuni parametri, per vedere cosa succede, prevedere e comportarsi di conseguenza». La condizione del golfo triestino, peraltro, potrebbe aggravarsi per altri motivi: «Dovessero bloccare davvero il depuratore di Servola - conclude la Del Negro - e comparisse un giorno un rigassificatore in mezzo al mare, si avrebbe l’ennesimo impatto ambientale con un depauperamento della fauna marina».


Sulla questione dell’incremento dell’effetto serra torna
Marina Cabrini
, collega della Del Negro: «L’anidride carbonica presente nell’atmosfera è assorbita per metà dalle foreste e per metà dal fitoplancton, ecco perché è importante studiare in modo approfondito la situazione. Oltre all’aspetto quantitativo, però, va curato pure quello qualitativo: la biodiversità e il caldo comportano sempre più l’introduzione e la prolificazione di organismi esotici e dannosi».


Sarà a Roma in questi giorni anche
Renzo Mosetti
, direttore del personale del Dipartimento di biologia dell’Ogs, che sulla previsione del ministro Pecoraro Scanio osserva: «L’ipotesi estrema, di vedere l’Adriatico trasformarsi rapidamente in Mar Morto è catastrofica e non è avallata da dati evidenti. Nell’ultimo anno, è vero, si è verificata una situazione particolare, con una media della temperatura della superficie del mare di 10 gradi, più alta del passato. Ciò che è venuto a mancare, per un regolare raffreddamento, è stata la formazione di acqua densa, salina che solitamente era generata grazie alla bora e, uscendo dal canale di Otranto, generava la corrente che contribuiva alla concentrazione del Mediterraneo. Però, da qui a dire che il vento non riesca più a raffreddare il mare, ancora ce ne passa. Per trarre conclusioni di un certo tipo, è il caso di studiare serie lunghe, i cui fenomeni si ripetano nel tempo. Come non è detto che il problema del surriscaldamento globale sia riconducibile a ragioni antropiche».

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