“Goga”, l’ex scienziata che sfama i migranti con i panini di frittata, formaggio e felicità
TRIESTE L’appuntamento è di pomeriggio, alle tre. Possibilmente puntuali. Perché da quando si è sparsa la voce che in piazza Libertà c’è “Goga” con le borse piene di panini, o si arriva subito oppure si rischia di non trovare più nulla. Quelli di Goga sono panini speciali: iper proteici, con uova, burro e formaggio, preparati proprio per i migranti. Afgani, pachistani, siriani, algerini, iracheni. Insomma, chi c’è. «Sono ragazzi sfiniti dai viaggi e dalle sofferenze, hanno bisogno di mangiare», dice Goga con la semplicità di una mamma, o di una nonna, a cui importa solo nutrire i figli e i nipoti. Quella semplicità che spazza muri e ideologie.
Ha una vitalità da vendere. Eccola là, mentre scende dall’autobus e guadagna svelta i giardinetti della piazza di fronte alla Stazione ferroviaria con le borse piene di quei panini. Li prepara con le sue mani, a casa, assieme al marito Goran.
Sessantanove anni, bosniaca, originaria di Sarajevo, Gordana Omanović è un’ex scienziata dell’Ictp, il Centro internazionale di fisica teorica “Abdus Salam”. Da luglio, da quando è in pensione, cerca di portare da mangiare ai migranti almeno due o tre volte la settimana. Goga fa parte di “Linea d’ombra”, l’associazione della psicoterapeuta e attivista Lorena Fornasir che a Trieste, nella stessa piazza, cura i piedi dei migranti che approdano in città. Ciò che accade in quella piazza, luogo di ritrovo dei rifugiati e dei senzatetto, sta ormai iniziando a fare il giro dei giornali e delle reti televisive nazionali. È il volto silenzioso e operoso di Trieste.
Ci sono anche i volontari dell’associazione culturale di Ponziana “Tina Modotti” e, da un paio di settimane, i giovani medici del gruppo “Don Kisciotte”: dottori da poco laureati, o in via di specializzazione, come Anna, Beatrice e Daniele, che dedicano il loro tempo per medicare le ferite degli stranieri. Ferite alle gambe e ai piedi, dovute ai viaggi estenuanti. O alle punture di insetto per le notti trascorse all’aperto. O, ancora, alle violenze della polizia croata. C’è chi arriva pieno di lividi. Chi ha la gastrite. Chi ha la febbre. Chi ha fratture. Il lunedì e il mercoledì sono a disposizione gli ambulatori di via Udine e di Casa Malala, a Fernetti, mentre nel resto dei giorni si lavora in strada, in piazza Libertà.
E poi c’è la bosniaca Gordana, Goga, stretta in un elegante cappottino blu. Lei, piccola così, con quelle borse colme di panini.
La sua in realtà è una storia nella storia. Lascia Sarajevo per Trieste nel ’92, quando ha 41 anni, in piena guerra. Si porta con sé il figlio di 10 e la suocera, mentre il marito la raggiungerà l’anno dopo. In tasca ha una laurea in Fisica, un master in Fisica teorica e un dottorato sulla massa dei neutrini conseguito a Zagabria. A Trieste ci arriva con un’opportunità importante: lavorare all’Ictp, il centro internazionale famoso in tutto il mondo. «Avevo scritto una lettera al professor Abdus Salam (Nobel per la Fisica nel ’79, ndr) – racconta Goga – e lui mi ha fatto venire a Trieste. Prima ho fatto la scienziata, poi mi sono dedicata alla biblioteca. Il professore mi ha voluto molto bene, persone così non nascono più... aiutava tutti. Ricordo che Abdus Salam è uno dei settanta premi Nobel che avevano firmato un documento contro la guerra in Bosnia».
Goga è in pensione da luglio, dopo un periodo come consulente della biblioteca dell’Ictp. L’idea dei panini è di un’amica. «Sì – precisa lei – della giornalista bosniaca Azra Nuhefendić – che è una dei volontari. È lei che un giorno mi ha detto “andiamo lì ad aiutare”. Azra porta il thé e altro... siamo un gruppo fantastico!».
I panini di Goga sono bombe caloriche. «Eh sì – sorride l’ex scienziata – perché questi giovani arrivano da viaggi pazzeschi. Sono magri... hanno fame». Usa pane arabo. Dentro ci mette delle grosse fette di frittata al forno fatta con uova, farina di ceci, olio di oliva, funghi, formaggio grattugiato e sesamo. Ci aggiunge pure burro, olive e valeriana. «Prima di consegnarli dico che sono “halal”, cioè un alimento preparato rispettando la legge islamica».
È uno spettacolo di felicità vedere i migranti addentare i panini. Se qualcuno rimane senza, i volontari provvedono acquistando tranci di pizza. «Ci piacerebbe venire ogni giorno», confida l’ex scienziata. «Ah sì, una cosa: questi ragazzi arrivano qui dopo aver passato l’inferno. Sono feriti e hanno fame, sono lontani dalle loro famiglie. Per questo usiamo il pane arabo, per farli sentire un po’ a casa loro». —
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