Godina: deluso da una città dove non cambia mai niente

L’amarezza del titolare: purtroppo questa parte del centro è stata trascurata Ingannato dal mio ottimismo, già 5 anni fa avrei dovuto ridimensionare l’attività
Di Laura Tonero
Foto Bruni 23.05.14 Luigi Godina con la figlia Annalisa
Foto Bruni 23.05.14 Luigi Godina con la figlia Annalisa

Seduto dietro alla sua scrivania, al posto di comando dal quale dirige i magazzini Godina dal 1975, Sergio Godina sembra disorientato. Non è facile per un uomo tutto casa e negozio come lui rassegnarsi al fatto che fra pochi mesi quel grande negozio con la sua galleria, la fontana che attrae tutti i bambini e il lungo bancone delle casse spegnerà le luci. A consolarlo, dopo che la notizia della chiusura ha fatto il giro della città, resta solo il sostegno dei clienti, la solidarietà di molti amici. E la certezza di aver sempre agito in buona fede.

In questi ultimi anni di attività, i più difficili, che cosa l’ha deluso?

L'immobilismo di questa città dove tutto cambia ma, in realtà, non cambia niente. Sono rimasto deluso anche da come questa fetta di città, così appiccicata al centro, è stata totalmente trascurata e abbandonata. Qualche attenzione in più avrebbe potuto darci una mano.

Quando i conti hanno cominciato a non quadrare più?

Cinque anni fa. Era forse quello il momento di prendere decisioni importanti. Ma l'imprenditore, per natura, tende ad essere sempre ottimista. E questo ottimismo condiziona e probabilmente non permette di vedere le cose con sufficiente lucidità.

Se fosse possibile tirare indietro le lancette dell'orologio che cosa farebbe, allora?

Con l'esperienza maturata negli ultimi anni, agirei diversamente. Forse ridimensionando gli spazi e chiedendo sacrifici ai dipendenti. Il rapporto speciale che ho con chi lavora per me mi ha impedito di adottare misure drastiche.

Alla luce della sofferta decisone presa assieme ai suoi figli, si rimprovera di qualche cosa altro?

Sì, di non aver visto le cose nell'ottica giusta molto prima. O forse di non averle volute vedere.

Come è cambiato il modo di fare commercio a Trieste?

Ormai è tutto nelle mani dei franchising e dei colossi internazionali. I grandi marchi si aprono i loro negozi scavalcando i distributori.

Ieri la notizia della chiusura è diventata di dominio pubblico e subito il negozio si è riempito di clienti...

Abbiamo ricevuto tanta solidarietà, la gente mi ha fermato per strada dispiaciuta e preoccupata per il futuro di questa città. Ovviamente molti sono attratti anche dagli sconti che abbiamo già iniziato a praticare. Da oggi abbiamo deciso che su tutto l'abbigliamento aumentiamo già gli sconti con ribassi dal 30 al 50 per cento fino ad arrivare al 80 per cento nella zona dedicata all'outlet.

Che rapporto si era instaurato con Confcommercio?

Siamo sempre stati accolti a braccia aperte da figure operative come Pietro Farina o Gianluca Gioffrè. C'è stata invece una mancanza di dialogo con le figure istituzionali della Confcommercio.

I suoi figli le sono sempre stati accanto. Quali insegnamenti ritiene di aver trasferito loro?

Ho cercato di insegnare loro lo spirito di sacrificio, la serietà, l'attaccamento all'azienda, l'onestà intellettuale e il mantenimento della parola data.

Tra pochi mesi lei smetterà di venire ogni giorno nei suoi uffici di via Carducci. A cosa si dedicherà?

Ci devo ancora pensare, ad oggi la mia vita è fatta solo di lavoro.

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