Gli ultimi istanti dell’inferno di Touria - L'AUDIO DELLA TELEFONATA AL 112

Sette euro e novanta centesimi: è il prezzo che ha pagato Abdelhadi Lahmar per acquistare, al suo rientro dal Marocco, l’accetta e il coltello con i quali si è accanito ripetutamente contro la moglie Touria Errebaibi, nella notte fra martedì e mercoledì. Nella sua follia omicida, il trentanovenne marocchino ha risparmiato alla figlioletta Hiba il cruento trattamento riservato invece alla madre. È scivolato al suo capezzale. Forse l’ha contemplata per un istante nel suo placido sonno di bimba. Prima di affondarle il coltello con la lama di 28 centimetri nella gola. Un unico colpo, inferto con una perizia definita «stupefacente» che l’ha quasi decapitata, risucchiando i suoi sogni nel buio per sempre.
Alle 2.30 di mercoledì il massacro è compiuto. Ma l’assassino telefonerà al 112 solamente alle 2.55. In quei 25 minuti trova il tempo di coprire con la coperta il volto della bimba in una sorta di gesto di pietà. Si toglie il pigiama sporco di sangue e indossa abiti puliti. È durata sei ore l’autopsia di Touria e Hiba all’ospedale di Pordenone. Ieri pomeriggio, dalle 14 alle 20, l’anatomopatologo Lucio Bomben, assistito da Ornella Del Piero e dal tecnico di sala settoria Vincenzo Lelleri, si è addentrato nella dinamica del duplice omicidio.
Anche se rimangono alcuni punti ancora oscuri. Come la precisa sequenza dei colpi e la cronologia dei due omicidi. Ancora non si può dire, al momento, con certezza se Abdelhadi abbia ucciso prima la madre e poi la figlia. Lo potrà stabilire solamente una ricostruzione congiunta effettuata con l’ausilio della documentazione fotografica scattata dalla polizia scientifica. Nei prossimi giorni il medico legale ritornerà sulla scena del crimine per un nuovo sopralluogo. Dalle traiettorie degli schizzi di sangue sulle pareti e dalle scie sul pavimento si potrà capire chi è stata scelta come prima vittima.
Se Hiba è passata dal sonno alla morte senza accorgersene, Touria in quell’ultima notte ha patito l’inferno. I cui segni premonitori – contusioni e segni di percosse recenti – le costellavano già il corpo, come ha confermato dall’esame autoptico. Con l’accetta l’uomo le ha inferto sei fendenti in testa, due sulla mandibola destra. Con il coltello le ha tagliato il collo e quindi le ha conficcato per due volte la lama in gola, scannandola.
Fra le dita e sulle falangi, la donna ha riportato escoriazioni e lesioni che suggeriscono un tentativo di difesa. Non c’erano, invece, segni di una violenza sessuale. Nelle prossime ore Bomben consegnerà i verbali in Procura. Un delitto che Abdelhadi covava dal suo rientro in Italia, come confermato dall’acquisto dei due strumenti di tortura. Un video, registrato dalle telecamere del residence Italia in piazzetta Costantini mostra Touria e Abdelhadi che litigano furiosamente per quattro ore lunedì pomeriggio, dalle 15 alle 19. L’indomani si sarebbero coricati insieme per l’ultima sera. «Siamo rimasti impressionati – racconta il direttore Giacomo Sartor – hanno gridato a lungo».
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