Gli scienziati migranti tra gli italiani in fuga
TRIESTE La scorsa settimana ho visitato prima la Scuola di Medicina Cardiovascolare del King’s College a Londra e poi il Dipartimento Cardiovascolare dell’Università di Maastricht, in Olanda. In entrambi i casi, i laboratori erano pieni di giovani italiani che facevano il dottorato, o che il dottorato l’avevano ottenuto in Italia ed erano poi emigrati. Stessa scena in qualsiasi altra università in Inghilterra, Germania, Svizzera, Francia e persino Spagna: è dappertutto pieno di giovani talenti italiani. Non manca di riconoscerlo un editoriale dal taglio severo che questa settimana Nature pubblica sullo stato della ricerca in Italia. Il titolo è già di per sé eloquente: «La scienza italiana fuori al freddo – La campagna elettorale lascia poca speranza ai ricercatori sul futuro del sistema scientifico del paese». Ancora più pessimista la conclusione dell’editoriale: i tagli nel bilancio - dal 2008, l’anno della crisi, l’investimento già basso del Paese in ricerca è declinato di un ulteriore 20%, ed è sceso di un quinto anche il numero di professori universitari - e il diminuito interesse nella scienza può solo che continuare, qualsiasi sia il risultato del voto il 4 marzo.
I numeri, peraltro, sono implacabili. Il Dossier Statistico Immigrazione 2017 elaborato dal Centro di Studi Idos, stima che nel 2016 siano stati 285mila gli italiani che hanno lasciato il Paese, quasi come quelli che emigravano nel dopoguerra (300mila). Sono più degli stranieri che sono sbarcati qui nel 2016 (181mila) e di cui tanto si preoccupa la campagna elettorale. Ancora più grave è che quasi un terzo di quelli che se ne vanno hanno in tasca una laurea o un dottorato. L’ultimo report dell’Ocse indica che l’Italia è tornata a essere ai primi posti mondiali come Paese d’origine degli immigrati: siamo subito dopo al Messico e davanti al Vietnam e Afghanistan.
Oltre al danno economico (un giovane che consegue il dottorato costa alla famiglia e allo Stato quasi 240mila euro), queste partenze depauperano l’Italia delle menti più preparate, causando un enorme danno culturale. La cartina al tornasole di questa situazione traspare anche dal livello del dibattito elettorale, inclusa la preoccupante deriva antiscientifica. Dei leader dei primi 6 partiti che si contendono ora il primato, 3 non hanno una laurea, per non parlare del livello francamente imbarazzante del titolo di studio degli amministratori di alcune delle principali città italiane.
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