Gli scavi del cantiere svelano a San Giovanni nuove gallerie asburgiche finora sconosciute

Da un banale buco in via delle Docce gli speleologi della Sas si sono calati per 20 metri conquistando un pezzo inedito dell’Acquedotto Teresiano 

LA SCOPERTA



«C’è uno strano buco tondo nella strada, venite a vedere». L’altro giorno, a San Giovanni, dalla semplice segnalazione di un residente di via delle Docce, ha avuto inizio un’inattesa quanto frenetica giornata di ricerche che ha portato a un risultato eccezionale: la scoperta di nuove gallerie dell’Acquedotto Teresiano.

Il toponimo

Via delle Docce prende il nome dagli antichi elementi tipici dell’Acquedotto Teresiano, che servivano al trasporto dell’acqua all’interno del sistema sotterraneo di gallerie. Si tratta di pietre con una canaletta incavata in cui l’acqua scorreva, una doccia dopo l’altra, per centinaia di metri. Nel 1751, per ordine di Maria Teresa d’Austria, si iniziano a scavare alcune gallerie nel rione – allora più che periferico – di San Giovanni. Il noto Capofonte e le gallerie superiori sono il nucleo centrale, il cuore del sistema idrico che rifornirà Trieste del prezioso elemento per moltissimi decenni. Ma oltre il Capofonte, in periodi successivi, per implementare l’apporto idrico, si costruiranno nuove gallerie di captazione.

LA FRANA

Sotto la chiesa di piazzale Gioberti sono stati progettati centinaia di metri di passaggi, compreso il famoso prolungamento “Secker-Tschebull”, risalente ai primissimi anni del secolo scorso, ma un’antica frana sotterranea ha impedito sempre di sapere se, oltre ai tratti noti sotto la chiesa, questo prolungamento fosse stato, oltre che progettato, effettivamente realizzato. Le ricerche della Società Adriatica di Speleologia - Trieste (Sas) avevano confermato, un anno fa, la presenza oltre la frana di altri ambienti, tuttavia non ancora ispezionabili.

IL BUCO

Finché, in concomitanza con una serie di scavi stradali in via delle Docce, ecco che un condomino scatta dalla finestra di casa una foto: durante il cantiere è comparso un buco. Pulita l’area viene definita una balaustra, la vera di un pozzo. Uno dei cinquemila pozzi di Trieste? No. Questo non ha acqua in accumulo sul fondo: le luci degli speleologi, a venti metri di profondità, mostrano acqua corrente, e la progressione del buco, della larghezza di quasi cinque metri, ricorda gli altri accessi all’acquedotto. Grazie all’interessamento della presidente della Sesta circoscrizione Alessandra Richetti del M5s e alla sensibilità dei responsabili di cantiere Ivan De Leo e Giampaolo Silvestri (i lavori sono eseguiti da Buridano Srl e Consorzio Integra) alcuni volontari della Sas decidono di scendere nel misterioso buco. Una volta garantita l’assenza di gas pericolosi da uno strumento cosiddetto “multiparametrico”, viene fissata la corda per la discesa degli speleologi Francesco Degrassi, Max Clementini e Marco Restaino: venti metri di pozzo verticale separano il traffico stradale da un mondo celato alla vista umana da più di un secolo.

LE GALLERIE

Come per magia le luci degli speleologi della Sas illuminano le volte di antichi passaggi e le misurazioni, con strumenti di rilievo “ad hoc”, confermano che si tratta proprio del famoso prolungamento Secker-Tschebull. Dopo alcune foto di rito si torna presto in superficie: le gallerie che dovrebbero avere da progetto 660 metri vengono percorse solo per una ventina di metri. Il resto verrà esplorato e topografato dopo il superamento della frana sotto la chiesa. Le gallerie appena riscoperte possono attendere infatti ancora qualche mese: il risultato eccezionale della giornata è stato, dunque, quello di confermare la reale presenza di queste gallerie di cui non era neanche certa l’esistenza. Non appena verrà liberato il passaggio da sotto la chiesa per accedere nuovamente a questi ambienti, tutto il gruppo di volontari della Sas, che sta lavorando alacremente al recupero della struttura, potrà ripercorrere questo tratto di storia sotterranea della città. Un ultimo appunto: decisamente significativa la presenza nelle acque della galleria di centinaia di esemplari di Niphargus, un gamberetto cieco che vive in acque pulite. A fortunata dimostrazione del minimo livello di inquinamento delle falde locali.—



Argomenti:speleologia

Riproduzione riservata © Il Piccolo