Gli occhi della criminalità sull’economia regionale per riciclare soldi sporchi

Nuovo allarme nella relazione semestrale della Direzione investigativa antimafia. Sottolineati i rischi di tentativi di infiltrazione nel porto di Trieste e negli appalti

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TRIESTE In Friuli Venezia Giulia la criminalità organizzata si presenta in giacca e cravatta. Sono l’economia legale e il riciclaggio le vie attraverso cui la malavita si insinua con faccia e mani pulite in una regione dal tessuto connettivo ancora sano, ma che costituisce «un polo di attrazione per i sodalizi criminali anche di tipo mafioso». L’analisi è contenuta nella relazione che la Direzione investigativa antimafia ha appena consegnato al parlamento, in cui si esamina l’attività dei clan nel primo semestre 2018.

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La Dia non ravvisa il «consolidamento di gruppi criminali», ma riscontra allo stesso tempo «caratteristici segnali di interessi criminosi volti principalmente ad attività di reinvestimento e riciclaggio dei proventi di attività illecite». Le mafie guardano insomma con sempre più interesse a questo lembo d’Italia, dove il danaro sporco può essere ripulito attraverso investimenti in società in crisi, attività commerciali e imprenditoriali. E non manca il rischio d’ingresso nel porto di Trieste o nelle attività che ruotano attorno alla Fincantieri e alla realizzazione della terza corsia dell’A4.

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Fenomeni destinati a crescere: secondo la relazione, «in virtù della strategica posizione della regione, di ponte naturale per la Mitteleuropa e la regione balcanica, ulteriori opportunità di interesse criminale possono svilupparsi grazie agli scenari economici di nuove, emergenti e vivaci economie», in grado di offrire opportunità per riciclare i proventi dell’attività illecita.

Non sempre le cose sono gestite però in doppiopetto: nel suo elenco la Dia parla pure di traffico d’armi e droga, rapine e sfruttamento della prostituzione, che spesso vedono la criminalità meridionale lasciare il passo alle organizzazioni balcaniche e cinesi.



Ma l’esistenza di soggetti malavitosi collegati con le organizzazioni nostrane emerge netta dalle interdittive antimafia emesse dalle Prefetture del Fvg. Pur in un contesto ancora privo di una presenza stabile della criminalità organizzata, la Dia ritiene che l’attività investigativa consigli di «mantenere alto il livello di attenzione di tutti gli organismi interessati a prevenire tentativi di infiltrazione» nell’economia legale. Perché di questo si tratta e non certo di un controllo fisico del territorio, attuato attraverso azioni violente, anche se nel primo semestre 2018 si segnalano sei incendi dolosi, 18 estorsioni e due casi di usura, che la Dia considera sintomatici.

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Così come i 42 casi di riciclaggio, che vedono Trieste come la realtà più esposta della regione. Il riferimento è ai tre arresti di pregiudicati campani che hanno riguardato la società Depositi costieri o all’interdittiva emessa nel 2016 a carico di un imprenditore pugliese del settore ortofrutticolo, in contatto con la criminalità tarantina.

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Quanto alla presenza straniera, a Trieste risulta verificata l’attività di componenti criminali nella comunità serba, dedite in particolare alla gestione del lavoro nero nell’edilizia attraverso lo sfruttamento di manodopera dell’Est europeo. Balcaniche sono anche le organizzazioni che trasportano al di qua del confine armi da guerra da dirottare in altri mercati europei: come nel caso dei 15 fermati nell’operazione coordinata dalla Procura di Gorizia dopo l’arresto a Savogna di un cittadino bosniaco sorpreso a trasportare kalashnikov, pistole e silenziatori. Non manca la presenza cinese, con lo sfruttamento della prostituzione in centri massaggio sparsi in tutta la regione.

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Nel resto del Fvg, la Dia rileva i rischi presenti nella provincia di Pordenone, dove si evidenziano le misure cautelari a carico di persone legate alla criminalità organizzata siciliana nel settore edilizio e di quella calabrese negli ambiti della meccanica, delle cave e dell’abbigliamento.

Ne sono derivati i sequestri di due negozi in un centro commerciale di Pradamano e di una fabbrica di attrezzature industriali: coinvolti rispettivamente la cosca dei Piromalli di Gioia Tauro e un gruppo composto da esponenti di ’ndrangheta, camorra e della famiglia romana dei Casamonica.

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L’Antimafia indica invece nel territorio udinese l’area d’azione di soggetti collegati alla camorra e alla Sacra corona pugliese, con la penetrazione nel mercato di Tarvisio e Lignano. E il riciclaggio legato al turismo si estende anche nel litorale da Trieste a Grado. —


 

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