Gli “invisibili” del palco ignorati da chi decide: «Costretti a reinventarci»

Dagli scenografi ai truccatori fino ai tecnici del suono: dietro a uno spettacolo teatrale o un film lavorano tantissime professionalità diverse ritenute non necessarie dal mondo della politica 

TRIESTE «Nell’arco di questo periodo, ci sono stati destinati dei ristori assolutamente insufficienti. Siamo tutti liberi professionisti, dovrebbe essere scontato che sopravviviamo solo se lavoriamo. Cosa impossibile se, come in questo periodo, il nostro settore è quasi completamente fermo». Andrea Stanisci è regista, scenografo e costumista di Trieste. Fra le mura dei teatri ha costruito la sua identità professionale, ha investito anima e corpo in un campo, quello della cultura, che lui definisce “bene primario”. «Eppure di noi non si discute mai, non siamo stati minimamente considerati. L’atteggiamento che ci è stato riservato è umiliante».

Il suo lavoro, nel 2020, è calato di circa due terzi. Quel poco che è riuscito a fare, lo ha fatto nei mesi estivi, quando la pandemia sembrava domata, e un po’ tutti ci eravamo illusi che il peggio fosse alle spalle. «Su migliaia di spettatori, solo una persona è risultata contagiata. I teatri hanno seguito i regolamenti in maniera precisa. Quando a ottobre il governo ha optato per chiuderli di nuovo, per noi è stato come un fulmine a ciel sereno».

Ricorrendo al frequente utilizzo del “noi”, Andrea tenta di restituire la dimensione di un dramma collettivo che ha colpito centinaia e centinaia di lavoratori dello spettacolo abituati a operare dietro le quinte, tra scenografi, truccatori e ingegneri del suono. Professionisti che non sono mai illuminati dai riflettori, ma grazie al cui talento gli spettacoli prendono vita. «Faccio questo mestiere da più di 20 anni, ormai. E dallo scorso marzo, la mia vita è stata stravolta. È molto lontana dalla normalità che ero riuscito a costruirmi», ammette Giulio Gallo, ingegnere del suono di Galleriano di Lestizza, in provincia di Udine. Abituato fino all’anno scorso a varcare le frontiere nazionali per lavorare in Paesi come Stati Uniti, Francia e Germania, il diffondersi del Covid-19 ha significato per lui ricostruirsi una prospettiva tra i confini del Friuli Venezia Giulia: «Abbiamo manifestato, siamo scesi in piazza a far sentire la nostra voce. E la Regione in qualche modo ci ha dato ascolto. Ma, in ogni caso, mi sono dovuto reinventare – prosegue Gallo -. Ho lavorato molto di più con iniziative legate allo streaming e la mia previsione è che, purtroppo, in futuro si punterà sempre più sulla frontiera del digitale. Quello il nostro principale nemico». Tutti ne sono convinti: l’universo di internet e affini prolifica all’ombra della crisi di settore. Una vera ripresa fatica a intravedersi, mentre i ristori, per chi appartiene alla categoria dei liberi professionisti, «fanno comodo per chi riesce a lavorare un pochino – conclude Gallo -. Ma per chi si è trovato senza nulla da fare, rappresentano una misura insufficiente».

Non tutti gli ambiti che fanno parte della catena di montaggio degli spettacoli hanno dovuto fare i conti con una crisi tanto forte. C’è chi, al contrario, si è trovato addirittura con una mole di lavoro superiore. È il caso, per esempio, dell’udinese Filippo Guggia, nella vita direttore di sartoria: «Quando è cominciato il periodo di isolamento ho cominciato ad avere molte più cose da fare. So che rappresento un caso anomalo. Ma, essendo io un artigiano e avendo un mio laboratorio privato dentro casa, sono riuscito a non fermare il lavoro – chiarisce Guggia, che insegna anche all’Accademia Teatro alla Scala -. La parte di progettazione di modelli e di cartamodelli è andata avanti, soprattutto con le produzioni estere». L’unico inconveniente, per lui, è stato quello di essere bloccato a casa. E dover così osservare e discutere di alcuni costumi di scena attraverso la piattaforma di Zoom.

Se nel campo del teatro sopravvivere è stata soprattutto una questione di fortuna, un discorso diverso va fatto per la produzione cinematografica, che ha vissuto i primi mesi di lockdown come una tempesta passata molto in fretta. «C’è stato un blocco durante la prima parte dell’ondata. Tutto è stato fermo da marzo a giugno. A luglio, però, è stato firmato un protocollo tra produttori, sindacati, ministero della Salute e ministero del Lavoro che ha permesso la riapertura dei set – ha spiegato Federico Poillucci, socio fondatore e presidente della Friuli Venezia Giulia Film Commission -. Il lavoro del cinema presuppone che gli attori recitino senza indossare le mascherine e senza tenere le distanze, ovviamente. In compenso, per garantire la massima sicurezza abbiamo adottato una serie di precauzioni ulteriori, come un maggior numero di tamponi. È capitato che in qualche set ci fossero casi di lavoratori positivi. A quel punto si è provveduto a sostituirlo per non fermarsi». I film che sarebbero dovuti partire la scorsa primavera hanno subito solo un leggero slittamento. Ciò che davvero è cambiato, è il tempo impiegato per portare a termine la realizzazione di una pellicola. «Le restrizioni che sono state introdotte hanno rallentato molto l’attività – conclude Poillucci, che in questo momento si sta occupando della seconda stagione di “Volevo fare la rockstar”, di Matteo Oleotto -. Un film che una volta si faceva in cinque settimane adesso ne richiede una in più. Ma la produzione sta andando avanti».

La stessa sorte fortunata è toccata ai professionisti del doppiaggio. «La nostra giornata lavorativa è cambiata tanto. Dobbiamo presentarci in studio a un orario preciso, si evita ogni tipo di contatto – racconta Patrizia Burul, doppiatrice triestina -. Ma noi siamo riusciti ad aggirare lo stallo, perché facciamo parte di una filiera più ampia. Al mondo del teatro è andata molto peggio». Per questo Patrizia sostiene che gli attori, invece del palcoscenico, dovrebbero cercare nuovi spazi. O meglio, riscoprire quelli antichi. «Piuttosto che la rete, bisognerebbe tornare a recitare in radio, come una volta. Cercando di farsi forza al pensiero che – conclude Patrizia -. Tutto questo periodo un giorno finirà». —

6 - continua.


 

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