Gli investigatori: "Il sacerdote ucciso dopo un litigio"
Nessun segno di effrazione sul pesante portone esterno che dà su via Besenghi, e nemmeno sulla porta della Casa del clero e neanche su quella della camera 32: l’assassino di monsignor Giuseppe Rocco era all’interno. Lo ha aggredito e strangolato. E non ha toccato nulla nella stanza.
Poi è fuggito portando via la catenina con alcune medagliette d’oro: un piccolo gioiello dal quale il sacerdote non si separava mai. È più che concreta quella che, al momento, è solo un’ipotesi investigativa dei carabinieri del Nucleo investigativo e dei poliziotti della Squadra mobile coordinati dal pm Matteo Tripani. D’altra parte, arrivare alla stanza numero 32 dell’immobile adibito a foresteria dei sacerdoti anziani e degli ospiti invitati dalla Diocesi per eventi o conferenze non è facile. Bisogna superare un cancello grigio di metallo che dà su via Besenghi, proprio davanti al cassonetto delle immondizie, oppure passare dall’ingresso del seminario che è sempre controllato e soprattutto chiuso durante la notte. Poi c’è da oltrepassare la porta del palazzo che ospita i religiosi a riposo immerso nel verde e infine quella della camera del sacerdote. Per questo motivo gli investigatori stanno puntando alla cosiddetta pista interna. L’assassino è qualcuno che conosceva monsignor Rocco. Lo ha fatto fuori strangolandolo e soffocandolo: ha stretto le mani al collo dell’anziano religioso. Don Rocco, 92 anni, è stramazzato sul pavimento, vicino al letto. Si era appena alzato. Era in canottiera e mutande, quando poi hanno trovato il corpo rannicchiato sul pavimento. Per gli inquirenti, presumibilmente si stava vestendo, così da poter poi uscire e andare a dire messa nella “sua” parrocchia di Santa Teresa del Bambino Gesù. Proprio come faceva praticamente ogni mattina.
All’inizio, quando Eleonora “Laura” Dibitonto, la sua assistente-badante, lo ha trovato esanime (attorno alle 7 dello scorso 25 aprile) nessuno aveva pensato a un omicidio. Piuttosto a un malore compatibile con l’età. La sconvolgente conferma è giunta infatti solo dopo l’autopsia effettuata dal medico legale Fulvio Costantinides che ha riscontrato la frattura della laringe: è stata la prova oggettiva dell’azione violenta.
La ricostruzione è chiara: l’assassino entra dalla porta della stanza (il religioso non la chiudeva mai a chiave) nel momento in cui attorno alle 5.30, come tutte le mattine, monsignor Rocco si sta alzando e vestendo. L’altro non fa nemmeno in tempo a urlare, a chiedere aiuto, perché l’assassino, come dimostrano le abrasioni riscontrate sul collo dal medico legale, lo stringe vigorosamente fino a farlo stramazzare sul pavimento.
Il movente è il mistero nel mistero. Cosa può avere un anziano religioso da indurre qualcuno a ucciderlo? I poliziotti e i carabinieri hanno effettuato anche alcuni controlli sul patrimonio di monsignor Rocco che ammonterebbe a circa 200mila euro. Il religioso già molti anni fa aveva fatto testamento a favore di tre nipoti e dell’assistente badante. Tutti erano a conoscenza delle decisioni del religioso. Nessun dubbio. E allora gli investigatori hanno subito iniziato e stanno continuando a battere altre piste. Quella, per esempio, di un litigio, una discussione poi scaturita nell’azione violenta dell’assassino. Cercano di ricostuire non solo quanto accaduto la sera o il giorno prima nella Casa del clero. Ma anche nei periodi precedenti al 25 aprile.
Intanto emergono altri particolari. A scoprire la mancanza della catenina che il sacerdote aveva sempre con sé, è stata l’assistente. Si è allora messa subito in contatto con l’agenzia funeraria che aveva portato via il cadavere di monsignor Rocco, ma nessuno ne sapeva nulla. Quell’oggetto è sparito, introvabile. L’unica cosa di valore che don Pino aveva addosso quando è stato ammazzato era un orologio, nient’altro.
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