Gli appetiti delle mafie sui cantieri dell'autostrada A4 e del Porto di Trieste

TRIESTE C’è la premessa, inesorabile nel ricordare a una regione che, fino a qualche anno fa, pensava ancora di essere dotata di un’immunità taumaturgica, di rappresentare invece e «ormai da tempo un territorio di possibile espansione della criminalità organizzata». E ci sono i contenuti, articolati in una serie di operazioni di polizia giudiziaria – in primis, i blitz antidroga lungo le rotte balcanica e olandese –, tutte culminate in arresti e sequestri nelle sue quattro province. La relazione della Direzione investigativa antimafia sul primo semestre 2020 conferma, qualora le parole del procuratore generale del Fvg e del procuratore distrettuale di Trieste non fossero bastate, gli interessi della malavita legata a doppio filo con ’ndrangheta, camorra, cosa nostra e sacra corona unita verso il tessuto produttivo del Friuli Venezia Giulia.
«Sebbene a oggi non si rilevino ancora procedimenti conclusi con condanne per reati associativi di tipo mafioso – si legge –, nel tempo, le investigazioni hanno messo in luce l’esistenza di proiezioni delle “mafie tradizionali”, nella maggior parte dei casi impegnate in operazioni di riciclaggio». Il punto di partenza e di arrivo di qualsiasi analisi sta tutto qui: la necessità di lavare il denaro sporco e le occasioni di investimento che una regione come la nostra offre. Prova ne sia il numero crescente delle segnalazioni di operazioni sospette (e originate in netta prevalenza da enti creditizi): 1.254 quelle raccolte tra gennaio e giugno scorsi, di cui 415 attinenti alla criminalità organizzata e 839 a reati spia (quelli ritenuti più indicativi di dinamiche riconducibili alla presunta presenza di aggregati di matrice mafiosa, dall’usura all’estorsione). Nello stesso periodo del 2019 le segnalazioni erano state 1.116.
E visto che parliamo di mesi marchiati dall’esordio della pandemia, la relazione rileva anche come le operazioni sospette potenzialmente relative all’emergenza Covid siano state 95. Una propensione per gli affari, quella manifestata anche a Nord-Est dalle mafie, «che passa attraverso una mimetizzazione attuata mediante il “volto pulito” di imprenditori e liberi professionisti – scrive la Dia –, attraverso i quali si presentano alla pubblica amministrazione, con modalità d’azione silente che non desta allarme sociale». Perché ciò che interessa, qui, non è il controllo del territorio, bensì la gestione del mercato. Da qui la maggiore difficoltà nel riconoscere il “nemico” e, nondimeno, i nuovi strumenti adottati per prevenirne l’attacco.
Su tutti, le interdittive antimafia, finalizzate a impedire che imprese potenzialmente infiltrate dalla criminalità organizzata ottengano o mantengano licenze e contributi pubblici o abbiano rapporti con gli enti pubblici. In Friuli Venezia Giulia le prefetture ne hanno emesse 3 in un solo semestre e non è cosa da poco se si considera che per tutto il 2019 non se ne era mai fatto ricorso. «Negli ultimi anni, il Fvg è stato interessato da attività di riciclaggio di dimensione transnazionale – evidenzia la relazione –. Alcune opportunità sono state favorite dagli ingenti investimenti connessi con la realizzazione delle grandi opere, che hanno attirato anche i capitali di provenienza illecita. Tra tutti, i lavori di ampliamento dell’autostrada A4 e del porto di Trieste».
E che siano proprio i grandi cantieri e il “porto franco ampliato” i sorvegliati speciali della Dia, che a Trieste è diretta dal tenente colonnello Giacomo Moroso, è provato anche dalla recente interdittiva antimafia recapitata alla “Petrol lavori spa” di San Dorligo della Valle, presente tanto al porto giuliano, quanto a Fincantieri, e allora amministrata ancora da Walter Radin.
Provvedimento che il prefetto di Trieste ha revocato soltanto dopo che il titolare, cioè colui che con i suoi precedenti giudiziari aveva gettato un’ombra sull’impermeabilità dell’azienda, ha abbandonato ogni carica societaria. —
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