Giuseppe Battiston e lo zio antipatico di Zoran nel primo lungometraggio firmato Oleotto

GORIZIA. Corporatura robusta, barba folta e gestualità simile. Giuseppe Battiston e Matteo Oleotto. A guardare attore e regista si capisce subito che la coppia non può non funzionare. Viene da pensare che siano stati separati alla nascita e si siano cercati tutta una vita prima di trovarsi per caso, ma non troppo. I due si sono conosciuti a un corso di recitazione. Battiston insegnava, Oleotto imparava. Poi si sono ritrovati a Roma, e ora i ruoli si sono invertiti: chi insegnava viene diretto e chi imparava dirige. Fino a novembre saranno impegnati nelle riprese di “Zoran-Il mio nipote scemo”, primo lungometraggio alla regia di Oleotto.
Protagonista della storia è Paolo (Battiston), un perditempo che trascorre le sue giornate nell’osteria di un piccolo paese vicino a Gorizia. A quarant’anni suonati scopre di essere zio di un bizzarro ragazzino. All’inizio la cosa lo disgusta, poi scopre che Zoran (il diciottenne Rok Prasnikar) ha un dono: è infallibile nel lancio delle freccette e pensa di portarlo ai campionati del mondo di Glasgow dove in palio ci sono 60mila euro.
A spiegare che tipo di uomo sia Paolo è il suo interprete. «È una fotografia di questo posto con le sue bellezze e le sue storture - dice Battiston -. Paolo però è più una stortura che una bellezza. Ha parecchi difetti. Non è neanche un anti-eroe, è antipatico e basta. Per me però è divertentissimo. Il personaggio non mi corrisponde, ma corrisponde a quello che avevamo in testa».
Oleotto si sofferma soprattutto sulla genesi del progetto: «Il film è partito quattro anni fa. Stiamo girando, abbiamo fatto delle ottime giornate di lavoro. Senza far mai vedere il confine raccontiamo il mondo di questa terra. Sarà una commedia popolare con il cielo grigio, perché amo il cinema nord europeo».
Per la ricerca dell’interprete di Zoran, la produzione ha visionato 450 ragazzini, alla fine ha trovato Rok Prasnikar, un diciottenne sloveno dal viso normale incorniciato in una frangetta. «La grande sfida è che Rok non conosce l’italiano e Giuseppe non mastica tanto inglese. Temevo tanti ciack per i problemi linguistici, ma sono emerse l’intelligenza dell’uno e la professionalità dell’altro ed è molto divertente. Spesso capita che io mi metta tra loro e traduca. Poi arriva qualcuno con lo sloveno per aiutarmi e finisce che ci troviamo io e Giuseppe a parlare in inglese e lui mi chiede: “Perché non parliamo italiano?”».
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