Giubileo 2025, mille in processione a Trieste: «In cerca di speranza invochiamo la pace»
Giovani, famiglie e anziani in corteo da Sant’Apollinare alla Cattedrale all’inaugurazione dell’anno santo diocesano assieme al vescovo Trevisi
Pellegrini di speranza, anche a Trieste. All’apertura dell’anno santo diocesano, domenica pomeriggio, c’erano circa mille persone. Giovani, anziani, famiglie: una folla colorata si è mescolata alle bianche vesti di sacerdoti e chierici nella processione guidata dal vescovo Enrico Trevisi, con accanto il suo predecessore Giampaolo Crepaldi.
Tanti volti diversi si sono incamminati dietro al Crocifisso dei Battuti. Tante storie, tanti vissuti. Ma un unico, fortissimo, desiderio: aggrapparsi a quella speranza con la S maiuscola a cui ha esortato Papa Francesco inaugurando il Giubileo.
Il serpentone si è snodato dalla chiesa di Sant’Apollinare a Montuzza fino alla cattedrale di San Giusto. I passi scanditi da canti, litanie e preghiere: quelle corali, recitate ad alta voce, e quelle personali, sussurrate a fior di labbra. L’esortazione alla speranza ha toccato il cuore di molti. E ognuno cerca di declinarla a modo suo.
«Spero in un futuro decente per i miei figli» dice Daniela accarezzando con una mano i capelli rosso rame della figlioletta Carolina e con l’altra il pancione che spunta da sotto il cappotto. Fra poco due mesi diventerà mamma per la seconda volta e crescere i figli in un mondo logorato da guerre e calamità la preoccupa. Accanto a lei, davanti alla cattedrale, ci sono anche le future nonne del bimbo che porta in grembo. «Il mondo sta crollando a pezzi – osserva amaramente Maria, 85 anni –. Chiedo a Dio tanta pace e ordine morale». È questo il proposito che la spingerà a varcare la porta santa di San Pietro: «Mi sono già iscritta al pellegrinaggio diocesano di marzo: andrò a Roma – annuncia emozionata –. Intanto oggi era importante essere qui». Lo pensa anche sua consuocera Gabriella: «Ci ha spinte la fede, che abbiamo ereditato dai nostri nonni e genitori e che coltiviamo cercando di trasmetterla alle nuove generazioni» dice tenendo per mano la nipotina.
Speranza nel futuro. Per Giuliano Merola, Emanuele Li Calzi e Paolo Piccini è questa la chiave di lettura dell’anno giubilare. Loro sono tre giovani educatori parrocchiali che seguono un gruppo di ragazzi. «Come generazione soffriamo la sfiducia nel futuro: gli adulti ce ne trasmettono poca o non ce ne trasmettono affatto. Siamo bombardati di messaggi disfattisti – dicono –. E riscontriamo questa percezione anche nei nostri ragazzi. Oggi siamo qui per riaccendere la fiamma della speranza con l’obiettivo di condividerla con i giovanissimi che ci vengono affidati». Come in una staffetta: «È importante – concludono – che ogni generazione passi il testimone, incoraggiando chi viene dopo a guardare con fiducia al futuro, soprattutto in un mondo così complicato».
Un mondo in subbuglio che costringe intere popolazioni a scappare, inseguendo il sogno di una vita dignitosa. Lo sanno bene i volontari della Comunità di Sant’Egidio. Ieri alla delegazione triestina si sono uniti ragazzi provenienti da tutto il Nord Est. «Sono i migranti a portarci la speranza. La vediamo nella curiosità di chi vuole imparare l’italiano, nella generosità di chi è in città da tempo e si mette a cucinare per i nuovi arrivati. Loro la speranza non l’hanno persa, noi a volte ce la dimentichiamo – raccontano in cerchio davanti a Sant’Apollinare –. La sfida, per noi, è incarnare la speranza del Vangelo, essere il volto sorridente dell’accoglienza, specialmente qui a Trieste, la prima città italiana che incontrano dopo la rotta balcanica». Tra i fedeli c’è anche chi si è lasciato contagiare dalla devozione degli amici, come Stefania e Marina, invitate da Giuliana, a sua volta mossa dalla parola “speranza”. «Spero che possiamo trovare pace. Mi auguro anche di riuscire ad andare a Roma per vivere ancora più intensamente il giubileo». «Abbiamo bisogno di un anno migliore, all’insegna della pace – rilancia Paolo Reatti percorrendo via Capitolina immerso nel fiume di fedeli –. Tutta questa partecipazione, secondo me, esprime proprio un desiderio corale di pace. È una cosa che tocca il cuore». Qualche metro più in là, Francesca D’Alessio intende la speranza come una missione di ogni cristiano: «Dobbiamo donarla a tutti, soprattutto in questo momento storico buio».
Né la chiesa di partenza, né quella di arrivo sono bastate ad accogliere la folla di fedeli. Ma il messaggio del vescovo ha raggiunto anche chi è rimasto sul sagrato: «Buon anno santo, che sia davvero un cammino di speranza, con Cristo nostro compagno di viaggio» ha esortato il monsignore.
«Guardo a Maria e Giuseppe nella stalla di Betlemme e penso ai tanti genitori umiliati dalla vita per non aver saputo dare ai propri figli ciò che desideravano – ha sottolineato nell’omelia –. Oggi l’umiliazione di tanti genitori si ripete per i motivi più diversi: a volte il lavoro precario e poco retribuito; altre volte i limiti che la vita impone con malattie, fragilità e contesti degradati. A ciò si aggiungono gli effetti nefasti di un mondo di guerre, ingiustizie, accoglienze mancate, paure. Ma in queste vicende di prevaricazione irrompe la luce dell’Emmanuele, il Dio con noi. Nella vita, nella vita di fede, non siamo turisti viaggiatori, non siamo vagabondi e nemmeno degli esiliati. Noi siamo pellegrini di speranza». —
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