Gipi, allo Strega il re del graphic novel

Incontro al Knulp di Trieste con l’autore di romanzi a fumetti candidato al premio con “unastoria”

di Alessandro Mezzena Lona

La sua prima storia è finita dentro un cestino. Tra la carta straccia. Solo perché a una delle segretarie di “Cuore” non era piaciuta. Ma adesso Gipi, osannato tra i grandi autori di graphic novel all’italiana, potrebbe entrare nel Gotha della letteratura. Sì, perché Domenico Procacci, il suo editore di Coconino Press-Fandango, lo candiderà al Premio Strega.

Così Gipi potrebbe diventare il primo artista capace di annullare un confine invalicabile. Quello che separa la letteratura dalle storie disegnate. Neanche Dino Buzzati con “Poema a fumetti” ce l’aveva fatta. Al contrario lui, Gian Alfonso Pacinotti, nato a Pisa, classe 1963, arrivato al successo con “La mia vita disegnata male”, potrebbe mettere d’accordo tutti. Con “unastoria”, la sua opera più recente che racconta l’intersecarsi della crisi profonda di uno scrittore con il calvario di un fante nella Grande guerra. Un viaggio narrativo, arricchito da tavole disegnate e acquarellate, al confine tra la vita e la morte. Tra i sogni e la realtà.

Gipi, che ha iniziato come illustratore ed è anche regista di film, sarà domani a Trieste per parlare di “unastoria”. Alla Libreria caffè Knulp, in via Madonna del Mare 7/a, alle 17.30 dialogherà con Dario Fontana e Maurizio Komar. Organizzano Secondastellaadestra con Coconino Press-Fandango e la Cappella Underground. A seguire, alle 21.30, proiezione del film “L'ultimo terrestre”, diretto da Gipi e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia.

«Sono fortunato, perché affronto questa storia dello Strega con l’incoscienza di chi sa poco o niente dei grandi premi . spiega Gian Alfonso Pacinotti, in arte Gipi -. Non riesco a capire nemmeno che cosa significhi entrare in un mondo così importante. L’unico segnale che mi può riportare un po’ con i piedi per terra arriva proprio dall’attenzione che circonda il libro».

Che tipo di attenzione?

«Tanto per dirne una, lo stanno leggendo persone che non si sarebbero mai sognate solo di sfogliarlo. Non so quante copie venderemo. Certo, provo un piacere immenso a pensare che “unastoria” possa saltare, in questo modo, tanti steccati mentali».

Siamo ancora fermi ai pregiudizi?

«Credo sia ancora difficile far capire agli altri che cosa stai facendo. Soprattutto se lavori nel mondo dei fumetti. C’è chi associa le storie disegnate a quelle che si fanno per i ragazzini. O a qualcosa da leggere quando non hai proprio nient’altro di meglio. Ecco, la candidatura allo Strega ti fa apparire agli occhi di chi non ti conosce in un altro modo. Ti trasforma in uno che, in ogni caso, fa cose da grandi».

“Unastoria” se la portava dentro da tanto?

«Assolutamente no. Ha preso forma un anno e mezzo fa. L’ho improvvisata».

C’erano legami con qualche storia familiare?

«Credo di no, e comunque all’inizio non sapevo in che direzione stessi andando. Era un momento particolare, quello: non riuscivo più a fare storie a fumetti da cinque anni».

Aveva paura di fermarsi.

«Un giorno mi sono messo al tavolo e ho iniziato a disegnare, a scrivere. Senza sapere dove mi portasse questa cosa. E non l’ho capito fino alla fine. Ma ero così terrorizzato di bloccarmi di nuovo, che non mi volevo fare troppe domande».

Questa volta l’istinto ha superato tutto?

«Di solito mi faccio sempre mille domande. Per capire se il lavoro abbia un senso. Questa volta restavo sospeso, spegnevo ogni curiosità dentro di me. Pensavo che non si capisse niente, perché io stesso non mi raccapezzavo. La storia è nata, cresciuta e si è conclusa così, dando ascolto solo al piacere di lavorare. Ho ritrovato la gioia grande di disegnare».

L’esperienza fatta con il cinema è servita?

«Non lo so se cinema e. fumetti in qualche maniera siano due mondi che, dentro di me, hanno un legame così forte. Ho cominciato a pensare ai film quando mi sono accorto che non venivano più le storie a fumetti. In pratica, ero un disoccupato. Io non sono bravo a scrivere certe storie mirabolanti, con mille colpi di scena».

Punta lo sguardo sulla realtà?

«Credo di essere bravo a stare al mondo. E trasformo quello che mi capita in storie da raccontare. Certo, tutte le esperienze fatte con il cinema, il mio primo film, il passaggio a Venezia, il fallimento de “L’ultimo terrestre”, visto nelle sale da pochissime persone, hanno lasciato un segno».

Tornerà a fare il regista?

«Ho scritto delle cose. Con Domenico Procacci abbiamo pensato di trasformarle in film. Ma non so se questo avverrà. C’è anche un progetto di film d’animazione che sta lì, a metà. Mi piacerebbe molto farlo, ma stiamo a vedere come andrà».

Anche lei è partito dai supereroi...

«Da ragazzino mi piacevano le storie del mondo Marvel e Dc. I miei preferiti erano i Fantastici 4, gli X-Men, l’Uomo Ragno, Devil. Però non mi hanno influenzato per niente. Di recente, mi sono innamorato del serial americano “Breaking Bad”, quello con il malato di cancro che diventa boss della droga. Ma non sono bravo a raccontare quel tipo di storie».

Non le vengono bene?

«Non mi eccitano sessualmente come quando posso fare lo speleologo dentro i personaggi. È bellissimo portare a galla i loro sentimenti».

A proposito di sesso: perché non riporta a galla le storie che ha scritto per “Blue”?

«Sono peccati di gioventù. Siccome “Blue” era una rivista dedicata all’erotismo, io mi sforzavo di inserire nelle mie storie delle situazioni erotiche. Il problema è che non sono mai stato come Lorenzo Mattotti o Manuele Fior, faccio proprio fatica a confrontarmi con l’eros. Per questo, infilavo le donne nude nella trama perché ci dovevano stare».

Non le rilegge volentieri?

«Le guardo comunque con affetto. Sono le prime storie che ho pubblicato. Mi piace vedere la passione quasi maniacale per i dettagli. Però mi sembrano vecchie, non mi interessa riproporle adesso».

Ha fatto anche la satira...

«L’ho fatta per un po’. Però, poi, mi sono accorto che quello non era il mio mondo. Ti rivolgi sempre allo stesso giro di persone. Chi la pensa come te ti adora, tutti gli altri ti odiano».

La prima striscia per “Cuore” era finita nel cestino?

«Non lo so se è vero, a me l’hanno raccontata così. Si intitolava “Inizio”, l’avevo mandata via fax a “Cuore”. Sembra che una segretaria sia passata di lì, l’abbia vista e buttata nel cestino. Evidentemente non le piaceva».

E poi?

«Un’altra segretaria, che non doveva amare molto la sua collega, tolse la storia dal cestino e la portò al direttore, che era Michele Serra. Insomma, mi hanno recuperato dalla spazzatura e pubblicato».

Mai pensato di fare storie a quattro mani?

«Ci ho pensato, ma è sempre finita malissimo. Adesso, prima ancora di leggere le proposte che arrivano, rispondo di no. Perché io godo al cento per cento solo se scrivo e disegno le storie. Non posso fare le cose a metà, sarebbe come condividere la fidanzata con altri. Non sono così emancipato».

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