Giovanni, primo estubato a Trieste: «Sono stato salvato dall’inferno»

TRIESTE Diciassette giorni in Terapia intensiva, sedato, a pancia in giù, con un tubo che pompa in gola un flusso d’aria ogni 15-20 minuti. Così è rimasto Giovanni, il primo paziente colpito da coronavirus a essere estubato a Cattinara negli scorsi giorni. Un atleta di 42 anni arrivato il 15 marzo dall’ospedale di Cremona, la zona da cui molti degenti sono stati spostati in altre regioni per i noti problemi di spazio. I medici non nascondono che la sua situazione era critica: aveva una polmonite molto grave. Adesso si trova in Pneumologia, reparto trasferito parzialmente da Cattinara al Maggiore. «Sto decisamente meglio da quando sono arrivato – racconta Giovanni al telefono, con una voce ancora un po’ affaticata -. Questi angeli mi hanno tirato fuori dall’anti-camera dell’inferno. Devo dire grazie ai ragazzi di Cattinara, persone gentili, professionali e soprattutto umane, sicuramente non lo fanno per lo stipendio ma per lo scopo».
Giovanni è stato contagiato dal padre di 71 anni, che aveva contratto l’infezione il 5 marzo e che purtroppo non ce l’ha fatta. Anche il fratello è finito in Terapia intensiva per coronavirus. Si trova a Varese. «Dalle notizie che ho, mio fratello è ancora semi-sedato, il suo percorso è più lungo del mio», specifica. Un percorso iniziato il 10 marzo dopo una quarantena. Per questo non abbraccia sua moglie, incinta all’ottavo mese, e la prima figlia di 7 anni dai giorni precedenti il suo ricovero. «Sono riuscito a salutarle appena estubato al telefono, oggi (ieri, ndr) ci siamo videochiamati - afferma Giovanni -, ho visto che alla piccola nel frattempo sono spuntati i denti davanti». Il peggio è passato però il recupero sarà lungo: «Devo imparare di nuovo a camminare, adesso non ho le forze». Eppure fino a qualche settimana fa «andavo in palestra tutti giorni nella pausa pranzo e insegnavo Jujutsu ai bambini. Sono alto 183 centimetri. Prima pesavo 85 chili, adesso ne ho persi 10».
Ma perché un giovane atleta come Giovanni ha subìto una polmonite così grave? «È una questione di dna – spiega Giorgio Berlot, direttore della Struttura complessa Anestesia rianimazione e Terapia antalgica -, ognuno di noi ha una risposta infiammatoria diversa. I pazienti affetti da coronavirus colpiti da polmonite sono di due tipi: la stragrande maggioranza, circa l’80%, ha la polmonite e un’insufficienza respiratoria mentre circa il 20%, normalmente sono pazienti giovani, ha una risposta infiammatoria severissima, per cui dall’organismo si libera una serie di sostanze che, se prodotte in quantità eccessiva, possono portare alla morte». È qui che entra in gioco la cura, «con esiti davvero eccezionali», che è stata somministrata a quattro pazienti in Terapia intensiva dell’ospedale di Cattinara. Il primo è stato proprio Giovanni.
«Noi qui a Trieste cerchiamo di eliminare queste sostanze in eccesso con un macchinario che abbiamo da una decina d’anni - aggiunge il primario -. Nel resto d’Italia è utilizzato a macchia di leopardo. Inoltre somministriamo il Tocilizumab, un farmaco anticorpi. Questo protocollo viene applicato solo se c’è un’infiammazione, perché se il paziente ha solo la polmonite, non serve a nulla». Giovanni, appunto, si trova ora nel reparto di Pneumologia, «dove sono presenti stanze a pressione negativa, per garantire una maggiore protezione», spiega Marco Confalonieri, direttore della struttura di Pneumologia, che specifica: «Qui arrivano i casi più gravi dagli Infettivi o direttamente dal Pronto soccorso. Finora abbiamo trattato più di una trentina di casi e nella stragrande maggioranza siamo riusciti a evitare l’intubazione, che invece comporta degli strascichi non indifferenti come la perdita muscolare e problemi neurologici».
Quando i casi non sono così gravi da necessitare di essere intubati, in Pneumonologia si sta applicando un protocollo approvato dalla Regione e studiato all’Università di Tennessee: «Somministriamo il Metilprednisolone – precisa Confalonieri -, che dato a determinati dosaggi contribuisce a diminuire l’infiammazione sregolata e dannosa in chi ha una polmonite grave con insufficienza respiratoria. È entrato anche nelle linee guida dell’istituto Spallanzani ed è stato approvato ancor prima dal nostro Comitato etico regionale. Viene combinato con supporti respiratori di ventilazione non invasiva, con casco o maschera oppure ossigeno ad alti flussi». Grazie a questo metodo da inizio marzo sei pazienti triestini, tra i 35 e i 70 anni, sono stati decretati fuori pericolo, negativi anche al secondo tampone dopo le cure. —
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