Giorno del Ricordo, Magazzino 18 apre al pubblico

Su iniziativa dell’Irci, Magazzino 18 resterà aperto al pubblico da lunedì 12 febbraio fino a venerdì 16 febbraio. Le visite sono gratuite e si svolgono alle 10; 10.45; 11.30 e 12.15. Prenota la tua visita allo 040 639188 o a irci@iol.it

TRIESTE In occasione del Giorno del Ricordo, istituito per rinnovare la memoria dell'esodo istriano e della tragedia delle foibe, verrà aperto al pubblico da lunedì 12 febbraio fino a venerdì 16 febbraio il Magazzino 18 in Porto vecchio. Un'iniziativa promossa dall’Irci, l’Istituto regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata, che vedrà ogni mattina quattro visite guidate della durata di circa 45 minuti, condotte dal direttore dell’Irci, Piero Delbello, in collaborazione con i volontari dell’Istituto.

Prenota la tua visita: Dovendo entrare in area portuale, è indispesabile prenotare fornendo i propri dati allo 040 639188 o a irci@iol.it. Le visite sono gratuite e si svolgono alle 10;10.45; 11.30 e 12.15.

Sul significato di quel luogo pubblichiamo un intervento del direttore dell’Irci, Piero Delbello

TRIESTE Sembrano enormi portali di un castello, di una cittadella fortificata, i varchi di entrata al Porto vecchio. Un luogo, oggi, senza re, senza armati e senza popolo. Una roccaforte rimasta ferma ma che non smette di dar memoria su un tempo di traffici, di commercio e di industriosa attività. Là c’è, però, anche il Magazzino 18, dove il lavoro antico ha dato spazio ad enormi stanzoni pieni di mobili, di letti, di armadi, di casse che istriani, fiumani, dalmati hanno depositato lasciando le loro terre e le case: quelle che, dopo la fine della guerra, la seconda mondiale, non sarebbero state più italiane.

Qua abita una memoria diversa: quella di chi visse in un’altra terra - quella d’Istria, di Fiume e di Dalmazia - una vita comunque ricca di attività e di quotidiano impegno, di fervore e di sacrificio, un’esistenza dura ma serena. Fino a quando tutto terminò. Il Magazzino 18 ha grandi occhiaie vuote, finestroni giganti in facciata, con i vetri frantumati, e lunghi ballatoi, come luoghi di incontro che paiono fatti apposta per fermarsi a fare chiacchiere, e ti aspetti in un attimo che esca qualcuno a parlarti fuori da quelle tante porte, massicce, enormi. Sempre chiuse. Qui non ci abita nessuno: oltre c’è solo silenzio. Pure, se entri, cataste di attrezzi, seghe, pialle, martelli, chiavi inglesi, casse di pentole, e l’alluminio ancora è lucido, pacchi di carte, tante fotografie, e piatti, bicchieri, posate, ciotole (…). File, che non finiscono mai, di letti e di armadi, di comodini e di cassettoni, di credenze e di tavoli, aspettano di essere disposti ancora nella stanza che a loro compete (...). Ma di chi è sta roba?


A scorrere i quaderni che a pacchi occupano le scansie, trovi le persone, i ragazzi veri: Degrassi, Almerigogna, Petronio … i nomi tradiscono l’origine anche senza un volto: Isola, Capodistria, Pirano … Vien da chiedersi dov’è finita la gente, dove sono oggi tutti quegli alunni? (..)

Giovannini, Trieste, 19/10/2011, Magazzino 18.
Giovannini, Trieste, 19/10/2011, Magazzino 18.

Hai voglia a dire che gli istriani si portarono via tutto ciò che potevano per rifarsi altrove quella vita che a casa ormai era perduta. Hai voglia a pensare che portarono via le cose per poi riportarle per quando sarebbero tornati. Si ripresero ciò che poterono. E se questo è vero per molti e per molte cose, quello che sta al magazzino 18 non fu ritirato da nessuno. Si muore, a volte, e non ci sono parenti (anche ci sarebbero ma, sventagliati in tutta Italia in cento e più campi profughi, chi li va a cercare?), si emigra pure, perché non basta essere esuli: se qua non ce n’è, te ne devi andare ancora, vai via due volte, e in nave sali con la valigia, senza mobili. Esci da un campo profughi e nella casa che trovi non stanno due armadi: uno devi lasciarlo.
Passare dalla vita alla morte o dalla vita ad un altro tipo di vita, trova la sua misura nelle masserizie abbandonate. È questo quello che si vede al Magazzino 18: una storia che si ferma, una vita che si blocca, come dopo l’eruzione di un vulcano. Resta tutto ma senza la vita. Come a Pompei.

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