Giordano Bruno Guerri: «A Trieste racconterò il vero D’Annunzio che disturberà la destra»
In luglio al Salone degli Incanti immagini inedite, l’autografo della Carta del Carnaro, l’auto con cui il Vate entrò a Fiume
«Sarà una mostra che disturberà moltissimo la destra», profetizza Giordano Bruno Guerri a proposito dell’esposizione su Gabriele d’Annunzio che si aprirà in luglio al Salone degli Incanti nel centenario dell’impresa di Fiume. Ma come mai proprio la destra dovrebbe sentirsi infastidita, chiediamo a Guerri, storico, curatore della mostra, presidente e direttore della Fondazione del Vittoriale. Il ‘Vate’ non è forse considerato uno degli intellettuali di punta del fascismo?
«Tutt’altro - obietta Guerri, che su questi temi interverrà anche a èStoria, il 26 maggio alle 18, in dialogo con Pier Luigi Vercesi - D’Annunzio non c’entrava niente col fascismo, che pure lo aveva messo sul piedistallo, e noi lo faremo vedere».
Si spieghi meglio.
«Mussolini, arrivato al potere dopo aver fatto il doppio gioco con d’Annunzio e di fatto avendolo tradito dopo l’accordo con Giolitti, fece in modo che l’impresa di Fiume diventasse una impresa fascista».
Non era vero?
«Macché, lo si capisce leggendo la Carta del Carnaro, una costituzione pienamente democratica. E poi i collaboratori di d’Annunzio non erano fascisti, come Alceste de Ambris, che morì in esilio in Francia o il capitano degli Uscocchi Mario Magri, che fece 17 anni di confino e fu trucidato alle Fosse Ardeatine. D’Annunzio poi consigliò ai suoi legionari di non aderire al fascismo, cosa che non fece mai neanche lui».
Quale sarà il taglio che darà alla mostra?
«Seguirò l’interpretazione che c’è in ‘Disobbedisco’ (il libro in cui Guerri ricostruisce i sedici mesi di D’Annunzio a Fiume, ndr), dove sostengo che quell’episodio storico importantissimo, snodo culturale e politico del Novecento, fu mal interpretato e mal giudicato».
Una mostra è un evento visivo, come riuscirà a tradurre questa sua interpretazione in immagini?
«Ci aiuteremo con i testi e le didascalie, mettendo in risalto certi punti. Presenteremo l’autografo della Carta del Carnaro, dove sarà evidente che col fascismo ha poco a che fare. Ci saranno presentazioni libri, dibattiti, un convegno».
Cosa si vedrà alla mostra?
«Approfondiremo tutti gli aspetti dell’impresa di Fiume. Al Vittoriale abbiamo decine e decine di cimeli, dalla bacchetta che impugnò Toscanini quando andò a suonare a Fiume, alle medaglie, all’automobile con la quale D’Annunzio entrò nella città quarnerina. Porteremo alla mostra una parte delle oltre 8 mila foto inedite che sono rimaste per anni al Vittoriale avvolte nella carta. Sono state tutte aperte, restaurate e digitalizzate. Poi saranno proiettati filmati e ci gioveremo di prestiti da altri possessori di reperti».
Il Salone degli Incanti è molto grande, come pensa di organizzare l’allestimento?
«Abbiamo pensato a un percorso a zig zag come se fossero tante stanze, che all’esterno riprodurranno l’aspetto militare, in laminato metallico imbullonato, e all’interno invece faranno rivivere le atmosfere del Vittoriale, ovattate, piene, calde».
Da direttore del Vittoriale, pensa sia cambiata negli anni l’immagine di D’Annunzio?
«Al Vittoriale abbiamo fatto un grande lavoro, aprendo tutti i 10 ettari del parco, pulendo i marmi, restaurando le stoffe. Il prossimo anno completeremo l’opera con la copertura in marmo rosso dell’anfiteatro. D’Annunzio si sa, è considerato un simbolo del decadentismo, su di lui girano da sempre aneddoti osé, ma è personaggio complesso, che non poteva essere fascista per la sua struttura mentale; certo non era un democratico, un superuomo non può essere democratico, sarebbe un controsenso. Personalmente mi sono impegnato a rendere giustizia alla sua figura mettendo in luce la vera natura, quella dell’innovatore. Però queste operazioni di cambiare la vulgata sono molte lunghe, partono dai vertici della cultura alta, arrivano al giornalismo buono e pian piano entrano nella cultura collettiva. La mia tesi di laurea era stata su Giuseppe Bottai che allora, alla metà degli anni settanta, era una figura emarginata dalla cultura, ma ora è riconosciuto come la mente migliore del regime fascista, un grande ministro dei beni culturali, tant’è vero che alcune sue leggi sono ancora fondamentali. Spero accada la stessa cosa con d’Annunzio».
Parliamo della statua che il comune di Trieste ha deciso di dedicare a d’Annunzio e che sta scatenando polemiche.
«L’idea è venuta passeggiando col sindaco Dipiazza, che mi mostrava alcune statue che ci sono a Trieste, a cui ho detto che avevamo commissionato a uno scultore, Alessandro Verdi, due statue di d’Annunzio da collocare a Gardone e nel parco del Vittoriale. Sarà un d’Annunzio malinconico, in borghese, seduto su una panchina con una pila di libri e la gardenia all’occhiello. Quanto alle polemiche sui costi non voglio entrare in conflitto con chi dice è meglio sistemare i marciapiedi. La statua costa solo il prezzo della fusione, l’artista ce la fa gratis. È un oggetto bello, abbiamo bisogno della bellezza. La bellezza deve salvare il mondo, no?».
Ma quali sono i legami di d’Annunzio con Trieste?
«C’è stato molte volte ed è una città strettamente legata alla vicenda di Fiume, ma soprattutto D’Annunzio è un importante patrimonio italiano, che Trieste ha deciso di onorare con questa mostra e con questa scultura per la quale ha fatto, economicamente, un affare. Sul ‘Piccolo’ ho letto molti giudizi di amabili signori triestini che contestano l’idea della statua con parole denigratorie che vanno di pari passo con l’ira dei neofascisti che ce l’hanno con me perché dico che non era fascista. Insomma mi sono fatto dei nemici da entrambe le parti». —
Riproduzione riservata © Il Piccolo