Giallo sul funerale “farsa” di Tito
Quel giorno, l’otto di maggio del 1980, a piangerlo a Belgrado c’era più di un milione di persone, mentre tantissimi altri singhiozzavano davanti alla Tv. A parte qualche rara eccezione, tutte le capitali mondiali inviarono nella capitale jugoslava delegazioni di altissimo livello, per onorare il defunto Maresciallo, morto quattro giorni prima a Lubiana.
Dall’Italia arrivarono Pertini e Cossiga, da Mosca Brezhnev e Gromyko, da Washington il vicepresidente Mondale, dalla Germania il cancelliere Schmidt, da Londra la Thatcher. C’era anche Jovanka, ricomparsa in pubblico accanto alla bara dopo tre anni di forzata assenza dalla scena pubblica.
Ma potrebbe esserci un dettaglio insolito e curioso che riguarda gli indimenticati funerali di Josip Broz Tito, un particolare che di certo non cambia la storia, quella con l’iniziale maiuscola, ma che tuttavia sta suscitando molto interesse, nei Balcani. E se quel milione di jugoslavi commossi, quelle decine e decine di presidenti stranieri, primi ministri, ambasciatori - e la vedova - invece che offrire i loro omaggi al corpo di Tito si fossero inchinati su una bara vuota o di sabbia riempita? È questa l’inedita versione affidata al quotidiano belgradese Vecernje Novosti da Obren Djordjevic, per quarant’anni alto papavero dei servizi di sicurezza jugoslavi. Oggi, anziano pensionato, ha deciso di togliersi un peso dalla coscienza, di rivelare un segreto finora inconfessato.
Prima della morte di Josip Broz, ha esordito Djordjevic, i suoi più stretti collaboratori, in testa il serbo Stevan Doronjski e lo sloveno Stane Dolanc, premevano affinché «il corpo venisse imbalsamato e poi esposto in un mausoleo», sul modello di quello di Lenin, sulla Piazza Rossa. Ma ci fu un problema. «I resti» del Maresciallo, ha assicurato l’ex funzionario dell’Sdb, vennero trasportati sul Treno Blu tra ali piangenti di folla da Lubiana - lì Tito era ricoverato da quattro mesi - ma arrivarono a Belgrado già in stato di disfacimento. Questo a causa forse del mix di «diversi medicamenti e farmaci» di cui era stato cosparso e imbottito il paziente durante gli ultimi mesi di malattia, la non proprio convincente spiegazione. Comunque siano andate le cose, l’entourage del defunto leader jugoslavo decise di organizzare il solenne funerale «senza il corpo» per ragioni «mediche e igieniche», causa forte odore emanato dal cadavere.
Cosa conteneva, allora, la bara ricoperta dal tricolore jugoslavo? Nient’altro che «sabbia», ha giurato Djordjevic. Una rivelazione controversa, non corroborata da prove, ma comunque da registrare e che ha rinnovato la curiosità che sempre, nei Balcani, suscita la figura di Tito. Il Novosti ha preso la palla al balzo, parlando apertamente dell’«ultima truffa» del Maresciallo.
I lettori hanno in genere sostenuto l’accusa, pochi hanno invitato a «smetterla con la fabbricazione di verità postume». Una riflessione non balzana. Corpo o non corpo, la storia non cambia. A Belgrado, nel 1980, si pianse veramente. Forse non tanto per Tito, ma per se stessi, per la consapevolezza che presto sarebbe iniziata una nuova epoca. Non altrettanto florida e pacifica.
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