Giallo di Trieste, Lilly è stata ripresa da un’altra telecamera. Ma le tracce restano pochissime
TRIESTE Liliana Resinovich è stata ripresa non solo dalla telecamera di un autobus nei pressi del capolinea di piazzale Gioberti, ma anche da una delle telecamere installate in via Damiano Chiesa in prossimità della Scuola di polizia. Il passaggio della donna lungo la via, analogamente a quello registrato dal bus, risale alla mattina della scomparsa, il 14 dicembre.
Il dettaglio emerge a distanza di oltre un mese, ormai, dal ritrovamento del corpo di Liliana, rinvenuto nella zona boschiva dell’ex Ospedale psichiatrico di San Giovanni. Era il pomeriggio del 5 gennaio.
Sono pochi frame, in entrambe le riprese. Immagini peraltro sfuocate, in cui si vede poco più di una sagoma. Ma, incrociando i dati in possesso degli inquirenti, è più che plausibile che possa trattarsi effettivamente di Liliana.
Ora si attendono gli esiti dell’esame tossicologico e degli accertamenti della Scientifica sulle impronte scoperte sui sacchi neri che la avvolgevano e sulla bottiglia – o, meglio, una bottiglietta – rinvenuta accanto al corpo. Andrà analizzato naturalmente anche il liquido all’interno. Era acqua?
Il tossicologico potrà chiarire una volta per tutte se la sessantatreenne triestina sparita il 14 dicembre ha assunto medicinali o altro. In questa prospettiva la bottiglietta potrebbe essere servita al Lilly per ingerirli.
Come noto, oltre ai sacchi neri in cui era infilata, la donna aveva anche la testa ricoperta da due sacchetti trasparenti. I sacchetti erano legati al collo, ma non totalmente stretti. Dell’aria, se pur poca, passava.
Gli indizi fin qui raccolti dagli investigatori, in attesa dell’esito completo degli esami di laboratorio, fanno pensare che la sessantatreenne non sia deceduta per effetto di un’azione violenta. Come già ampiamente emerso, il cadavere non ha ferite. E nemmeno la Tac ha evidenziato lesioni o quant’altro.
Inoltre, sia i vestiti che i sacchi neri non riportano segni di trascinamento. Tirando le somme, l’indagine in questa fase sembra ormai propendere più per un suicidio che per un omicidio.
L’inchiesta (ufficialmente aperta per “sequestro di persona”), va ricordato, non ha indagati. La posizione del marito, il settantaduenne Sebastiano Visintin, è naturalmente ancora al vaglio degli investigatori. Ma da quanto risulta ciò che l’uomo ha riferito su come ha trascorso la mattinata il giorno in cui è scomparsa la moglie, coinciderebbe grosso modo con gli spostamenti che ha effettivamente fatto in quelle ore. Che ovviamente sono stati accertati.
In questi giorni la Mobile ha sequestrato i dispositivi elettronici trovati in casa della coppia (pc e tablet): il materiale sarà analizzato. Sarà passata al setaccio anche la cronologia delle pagine web consultate. Potrebbe emergere per esempio se la donna ha cercato informazioni su come togliersi la vita.
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