Genova, un modello per vincere la sfida del Parco del mare
L’Acquario della città ligure conta un milione e 300mila visitatori all’anno
di Furio Baldassi
di Furio Baldassi

I suoi cittadini sono mediamente anziani, con una tendenza quasi istituzionale a lamentarsi. Ha un traffico caotico e, per quanti ne costruisca, i parcheggi sembrano non bastarle mai. Nel vecchio centro storico il casus belli che tiene banco è la lotta dei residenti contro i giovani che, nei tanti localini, fanno rumore fino alle ore piccole e lasciano l’area in condizioni di grande degrado. Uno dei suoi problemi di punta è diventato recentemente lo sconfinamento dei cinghiali fino al centrocittà. L’identikit di Trieste? No, o meglio, anche. Si tratta di Genova che, passata ai raggi x, offre momenti di totale, quasi sconcertante somiglianza con la nostra città. E, assicurano da queste parti, proprio per questo si presta a usare le medesime ricette anti-crisi. Puntando su turismo e intrattenimento, e facendo del Parco del mare il primo punto fermo.
Qui a Genova il fondo l’hanno toccato nei primi anni ’90. Il porto a rotoli, l’industria anche, il turismo un oggetto sconosciuto, pur in una regione come la Liguria che di angoli suggestivi ne presenta a decine. «Si figuri che fino al ’92 – ridacchia Giuseppe Costa, amministratore delegato della Costa Edutainment, nome di sintesi che sta per intrattenimento educativo – con migliaia di macchine in corsa verso la Riviera, eravamo solo un puntino nella cartina, tra Portofino e Sanremo. L’unica attrattiva turistica della città, indicata nelle guide, era il cimitero monumentale di Staglieno. Certo, bello da vedere, con la tomba di Giuseppe Mazzini, ma pur sempre un cimitero...»
Anno indimenticabile, per Genova, quel 1992. Miliardi a pioggia da Roma (erano ancora in vigore le lire) per le «Colombiadi», le celebrazioni della scoperta dell’America da parte del genovese più famoso, Cristoforo Colombo, l’architetto Renzo Piano che ribalta il «waterfront» e rifà il Porto Antico e, soprattutto, mette mano alla nascita del grande Acquario. «Lo Stato lo finanziò interamente – ricorda un altro Costa, Giovan Battista, che del gruppo cura strategie e sviluppo – con la sola condizione di fare presto e bene. E fu fatto». La spesa globale fu di circa 160 miliardi, anche se i Costa parlano di «circa 70 milioni di euro attuali» e il finanziamento dello Stato ebbe un iter velocissimo.
Il decollo, in realtà, non fu facile. Dopo le «Colombiadi», nonostante i primi successi, l’impianto fu addirittura chiuso per un periodo, col rischio di non riaprire più. I Costa, in quegli anni erano ancora impegnati nel settore crociere, poi ceduto agli americani della Carnival, ma ebbero una brillante intuizione. «Decidemmo di impegnarci in prima persona – racconta Giovan Battista – chiedendo semplicenmente che l’Acquario ci venisse dato in gestione anche a un po’ meno di quello che, semplicemente, costava tenerlo chiuso». L’accordo prende corpo nell’ottobre del ’93 quando Costa Edutainment ottiene una concessione valida fino al 2020. Da allora la società versa ogni anno un canone alla «Porto Antico» (l’equivalente del Porto Vecchio triestino) che attualmente è di due milioni di euro.
Può permetterselo. In soli 15 anni, infatti, l’Acquario di Genova è diventato un Moloch dell’intrattenimento, una macchina da guerra per i bilanci e ha portato alla città un valore aggiunto cui nessuno poteva pensare. «Adesso – chiosa Giuseppe Costa – si parla di Genova prima e dopo l’Acquario, e non a sproposito». Le cifre, del resto, sono là a documentare il fenomeno. Nell’anno appena trascorso la società ha avuto un fatturato consolidato con la controllata Incoming Liguria di quasi 24 milioni di Euro, e ha mandato a referto oltre 1.700.000 visitatori in tutte le strutture gestite a Genova (oltre all’Acquario, La città dei bambini e dei ragazzi, Galata Museo del Mare, Biosfera e Bigo, la torre panoramica rotante, tutte racchiuse nell’arco di una passeggiata di poche centinaia di metri). Una mole di lavoro notevole che non a caso ha fatto lievitare il numero dei dipendenti fino alle attuali 110 persone, che con quelli delle varie cooperative sociali, pure impegnate, superano i 200.
Quasi un milione e 300mila visitatori, di media, spendono annualmente i 17 euro del biglietto d’ingresso e vari altri soldini tra souvenir, ristorazione e le altre attrazioni dell’area riconducibili al Gruppo Costa. Il picco è stato raggiunto nel 2004, con un milione e 404mila visitatori ma il trend resta sempre elevato anche se in lieve decremento. Ed è un fenomeno che non accenna a scemare anche perché, particolare non trascurabile, l’Acquario si può considerare tutt’altro che una struttura stanziale, vista una viste tutte, semmai una realtà che sublima il significato di «work in progress». «Ogni anno investiamo mediamente un milione di euro per rifare completamente almeno una vasca e introdurre altre migliorìe – racconta Giuseppe Costa – e ogni 3-4 anni modifichiamo completamente un’area. Per questo, a meno di non venire in visita 4-5 volte all’anno, come fanno certi genovesi affezionati, si può dire che l’Acquario è in continuo cambiamento, non è mai lo stesso».
Un concetto dimostrato anche dall’elevatissimo indice di fidelizzazione dei suoi frequentatori. Un recente studio individua come bacino di utenza principale dell’Acquario genovese l’area del Nordovest italiano più un 15-20% di visitatori che arrivano dalle isole, non solo dalla vicina Sardegna ma anche dalla Sicilia. I genovesi sono pochi ma, come detto, affezionati. La struttura è inoltre «vissuta» in maniera molto positiva. in uno studio dell’Eurisko sui tassi di soddisfazione legati a certi «brand», in una scala di valori che andava da 4 a 8 l’Acquario ha ottenuto 7,5, con la sola, inarrivabile Ferrari con un bell’8 pieno.
Un successo che permette all’impianto di tenere a bada i concorrenti più aggressivi («Tra i parchi direi Mariland a Nizza, l’Acquario e delfinario di Cattolica e, perché no, la stessa Gardaland») e, adesso, anche di «esportare» il proprio know-how. «Ci hanno contattato da più parti – sottolinea Giovan Battista Costa – per capire da dove nasceva il nostro ”miracolo” e vedere se era possibile ripetere lo stesso fenomeno altrove. Pochi lo sanno, ma abbiamo anche fornito un parere su una possibile trasformazione dell’Arsenale di Venezia in Acquario. In una città che già stenta a reggere la quotidianità delle presenze, non ci pareva il caso. Lo abbiamo detto e non se ne è fatto niente. Per Trieste è diverso. A nostro avviso, assieme a Napoli presenta una situazione economica assolutamente analoga a quella da cui si era partiti a Genova. Mi sembra, inoltre, che il progetto sia condiviso. E dunque, come a Genova, va fatto. Ma subito, domani stesso».
Argomenti:parco del mare
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