Generali: «Usciremo più forti dalla crisi»

L’assemblea approva i conti. Nel primo trimestre raccolta stabile
Le Generali vogliono uscire «più forti» dalla crisi finanziaria e incassano nel primo trimestre 2008 una raccolta premi di oltre 18 miliardi «stabile» nonostante la tempesta perfetta che ha colpito i mercati. Ieri in assemblea non c’è stato il colpo a sorpresa: il Leone non cerca prede, e per ora esclude aumenti di capitale che potrebbero diluire l’assetto di controllo. Ma se ci saranno buone occasioni il gruppo triestino, che consolida le posizioni nell’Est Europa, India e Cina, è pronto. L’assemblea ha approvato un bilancio segnato dalla crisi finanziaria con il pagamento di un dividendo di 0,75 euro di cui 0,15 in contanti e il resto in azioni.


È stata anche la prima assemblea a mercati aperti: il titolo ha chiuso con un balzo del 2,46%. La crisi ha spazzato via anche le tensioni con Algebris che l’anno scorso innescò uno scontro al calor bianco con il presidente Bernheim: l’hedge fund, come ha annunciato ieri Davide Serra, ha venduto tutto il suo 0,5%. Il presidente francese, 84 anni, è pronto ad andarsene (il suo mandato scadrà nel 2010) e non intende ricandidarsi, ma ancora una volta tiene la scena: «Non sono ancora rimbambito. Il prossimo anno avrò 85 anni. Solo chi sta lassù in alto può decidere». Bernheim non accetta l’idea di una carica onoraria: «Un presidente senza poteri? Non lo prendo neppure in considerazione. Io sono al servizio di Generali. Se i soci pensano che io sia di aiuto, vedremo, altrimenti me ne vado». Francesco Gaetano Caltagirone, azionista della compagnia (e protagonista di ripetuti acquisti negli ultimi tempi), ha promosso la governance della compagnia triestina: «Due amministratori delegati a Trieste non sono troppi».


E gli acquisti di Generali? «È un investimento in cui credo». Bernheim non sembra avere voglia di ricevere l’ultimo applauso dell’assemblea. Sottolinea il destino impietoso capitato a Citigroup o Lehman Brothers nonostante le banche Usa abbiamo «una governance perfetta». Si compiace quando l’ad Perissinotto gli riconosce doti divinatorie: «Il presidente è stato fra i primi a segnalare la pericolosità della crisi. È stato una guida preziosa». A qualche azionista inquieto, deluso per il dividendo sottile, Bernheim spiega che la crisi è stata causata da «giovani banchieri ricchi privi di immaginazione che hanno investito nei subprime». La tempesta finanziaria «sarà ancora lunga» perchè le banche avranno bisogno di anni per liberarsi dai titoli tossici. Un problema che le Generali non hanno: «Mai avuto titoli tossici. I nostri risultati sono incoraggianti. Senza l’impatto della crisi finanziaria l’utile 2008 (861 milioni) sarebbe stato di circa 3 miliardi».


Ma anche il Leone ha sofferto: le svalutazioni nette sui titoli hanno inciso per 3,1 miliardi sul patrimonio netto. La risposta di Trieste è stata rapida. La fusione fra Alleanza e Toro sarà solo una tappa: «Se va bene potrebbe in futuro estendersi anche a Ina e Assitalia», ha detto Bernheim. Perissinotto pensa poi di chiudere anche prima dell'estate la vendita del 50% di Intesa vita. Tocca a Sergio Balbinot, l’ad «globetrotter» artefice dello sbarco in Cina, spiegare in assemblea che le Generali non si fanno piegare dalla crisi del secolo. Nell’Est Europa il gruppo triestino ha un patto di ferro con Ppf in Cechia: «Siamo stati toccati dalla crisi ma meno di altri. La nostra strategia non cambia anche perchè la situazione è diversa in ciascun Paese. Non rinunciamo a crescere ma il nostro obiettivo è la redditività». Negli Stati Uniti le Generali non hanno trovato nulla di «soddisfacente», e non sembrano interessate agli asset di Aig.


In Germania il Leone apre le porte a una possibile uscita da Commerzbank: la compagnia triestina è socio con una quota importante (5,6% dopo la fusione con Dresdner e l’intervento dello Stato): «Caduto il rapporto industriale nel 2010 -ha spiegato Balbinot- questa non sarà più una partecipazione strategica ma finanziaria». La Russia potrebbe essere la nuova frontiera dopo che si è sbloccato il dialogo fra Trieste e il magnate russo socio di maggioranza di Ingosstrakh: «Quando era molto ricco non ci rivolgeva neppure la parola. Ora forse sarà lui a venirci a cercare», commenta sornione Bernheim. I soci hanno deciso di non sostituire lo scomparso Vittorio Ripa di Meana in consiglio: bocce ferme fino al 2010. Il cda si riduce a 19 membri.

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