Generali, un miliardo per nuove acquisizioni
INVIATO A LONDRA. Philippe Donnet non delude gli investitori della City di Londra. Conferma gli obiettivi finanziari delle Generali nonostante uno scenario di mercato da brivido: da Brexit ai tassi sotto zero e sullo sfondo di un rischio politico complicato dall’effetto Trump e dall’incognita referendum in Italia. Pragmatico, il Ceo francese mantiene i piani molto ambiziosi fissati un anno e mezzo fa: da una generazione di cassa superiore ai 7 miliardi a dividendi aggregati oltre i 5 miliardi.
Ma il difficile viene ora: il coefficiente di difficoltà nel frattempo è aumentato. Donnet insiste così sulla “forza” delle Generali e presenta un nuovo pacchetto di misure che paiono togliere forza alla grandeur del gruppo ma in realtà sono necessarie, nella visione del management, per rendere i target realizzabili. Il piano ridisegna la mappa della presenza internazionale del gruppo, presente in una sessantina di Paesi, che uscirà dai mercati ritenuti «non redditizi» come già avvenuto con Messico, Guatemala e Lichtenstein.
Operazione che frutterà un miliardo di liquidità pronto uso per sfruttare nuove occasioni d’acquisto «più redditizie», rafforzata da un piano per aumentare del 15% la produttività e con ulteriore snellimento dei marchi. La road map per uscire dai mercati “cenerentola” che il Leone vuole dismettere è in mano a Frederic De Courtois, capo del Business globale. Nella «lista Frederic» (così Donnet) ci sono i 13-15 Paesi «poco dinamici» da cui il Leone potrebbe uscire. Top secret i nomi. Unico indizio la frase di De Courties sull’Asia «non intoccabile».
«Vogliamo essere i primi nei Paesi dove siamo presenti. Vogliamo fare dell’eccellenza la nostra ossessione. Manterremo una presenza globale e diversificata ma soltanto nei mercati più dinamici», ha detto il Ceo. Un riferimento alla Cina, dove il gruppo è il terzo operatore straniero, alla «dinamica Asia», all’Est Europa, roccaforte tradizionale, e soprattutto a Italia e Germania al centro di un vasto piano di digitalizzazione e integrazione delle piattaforme anche con concentrazione dei marchi. Una vera sfida per Donnet che dice di avvertire la stessa urgenza di quando fu spedito da Axa a risollevare la sorte della controllata giapponese dopo l’11 settembre.
Il mercato ha accolto il piano con un tonfo del titolo, che alla fine lascerà sul terreno il 3%, probabilmente deluso dalla smentita secca del Ceo ai rumors che parlavano di 8mila esuberi e pesanti piani di ristrutturazione in vista: «Non ci sono piani di ristrutturazione del personale e peraltro l’Italia ha già fatto la sua parte», scandisce. Di fatto ci sarà una accelerazione del programma di risparmi per altri 200 milioni «inclusi i costi del personale», ha spiegato il Ceo. Ma questo scenario lacrime e sangue non ci sarà. Piuttosto verrà avviato sui mercati “maturi” un processo di semplificazione che porterà a una riduzione dei costi di 200 milioni di euro. Nell’era di Generali 2.0 il gruppo conferma la spinta sulla digitalizzazione che sta coinvolgendo tutte le risorse del gruppo.
Piani di rafforzamento per Generali Italia, guidata da Marco Sesana, in pole per diventare il nuovo country manager. «Generali non ha alcun progetto di riduzione della partecipazione nella controllata Banca Generali», è stato precisato. In crescita anche la Germania, guidata da Giovanni Liverani, a 18 mesi dall’avvio del piano di riassetto. Donnet non si sottrae a domande sull’Italia e sul referendum non si sbilancia: «Non so chi vincerà. Ma in tutti i Paesi europei le riforme strutturali vanno fatte».
Sulla conversione dei bond Mps, passaggio cruciale per il successo dell’aumento di capitale di Siena, le Generali faranno la loro parte e «valuteranno». Donnet di fatto ha detto di preferire un ruolo in Mps, dove non ha specificato l’esposizione del Leone, rispetto a un nuovo intervento in Atlante 2.
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