Gang dell’hashish al molo Audace, in libertà 5 pusher su 10

TRIESTE Uno al Coroneo, un altro costretto all’obbligo di firma, tre ai domicilari nei rispettivi centri di accoglienza (centri che ora, nel caso si rifiutassero di tenerli, li spedirebbero automaticamente in galera, dal momento che un tetto alternativo i diretti interessati non ce l’hanno) e infine cinque a piede libero. A 48 ore, o giù di lì, dalla chiusura dell’operazione della polizia di Stato coordinata dalla Procura della Repubblica che aveva portato all’arresto di dieci profughi-pusher, ritenuti i “gestori” del supermercato dell’hashish sul Molo Audace, il 50% di questi è dunque già fuori.
E ciò in ossequio al “quinto comma” della legge antidroga, di più recente applicazione, che esclude misure cautelari in attesa di giudizio per chi è accusato di “fatti di lieve entità” al di sotto dei quattro anni, teorici, di reclusione. Decisivi, alla fine, così quantomeno si può desumere codice alla mano, si sono rivelati gli accorgimenti usati dagli stessi spacciatori, dai comportamenti non casuali evidentemente: erano attenti, di fatto maniacali, nel portarsi addosso e vendere, sempre e comunque, microdosi. Roba, spesse volte, da un grammo per dieci euro, non di più, per ogni singolo “affare”.
Ieri è stata in effetti la giornata in cui si sono definite le posizioni dei singoli richiedenti asilo arrestati tra domenica e martedì dalla Squadra mobile - otto afghani e due pachistani fra i 18 e i 29 anni - implicati per l’appunto in una specie di centrale dello spaccio nel cuore del salotto buono cittadino, dove come minimo da un paio di mesi si riforniva almeno un centinaio di persone, in larga misura “autoctone” e in buona parte minorenni, talvolta quattordicenni. Cinque dei dieci arrestati originariamente, al “netto” dei due complici ricercati, erano stati rinchiusi dietro le sbarre del carcere di via Coroneo, e altrettanti si erano visti concedere i domiciliari nei centri d’accoglienza di Ics e Caritas: la discriminante della “gravità” del reato di spaccio a loro contestato era data sostanzialmente dal sospetto di aver venduto il “fumo” a qualche minorenne. Proprio ieri in tarda mattinata, in particolare, il giudice per le indagini preliminari Laura Barresi ha interrogato tre dei cinque giovani “spediti” inizialmente in cella e che lì avevano passato ancora la notte di mercoledì. Per tutti e tre è stata l’ultima “al fresco”.
Si tratta dei due afghani Haidar Shapor e Said Hussaini Ibrahim, di 25 e 20 anni, e del pachistano Nasir Ullah, di 23. Il primo era difeso dall’avvocato Isabella Passeri e gli altri due dall’avvocato Marco Fazzini.
Al termine dell’interrogatorio, in presenza d’un interprete pashtun, il gip Barresi ha disposto la scarcerazione di Shapor e Ullah e l’aleggerimento della misura a carico di Ibrahim, dal carcere ai domiciliari, nel centro di Fernetti in cui è ospite, sempre che in tale centro egli sia chiaramente accolto nonostante quanto è successo, altrimenti l’alternativa è il ritorno al Coroneo.
Ad Haidar non è stata accertata l’aggravante della cessione di stupefacente a un minore poiché poiché il gip ha ritenuto che l’unico episodio a lui contestato in questa “materia” tramite le intercettazioni video avesse avuto come parti in causa nella “trattativa” Haidar stesso da una parte e un cliente maggiorenne dall’altra, cliente che si era portato dietro la fidanzatina under 18 la quale però si era limitata a presenziare in un atteggiamento definito passivo. Non era a lei, insomma, che l’indagato aveva formalmente venduto la droga. Ullah invece doveva rispondere di un caso “dubbio”, nel quale aveva ceduto una dose a un ragazzo non ancora maggiorenne ma di più di 17 anni che poteva sembrare averne di più.
Una situazione border-line alla Ruby, tanto per fare un esempio noto ai più. Ibrahim infine è stato inchiodato non da un singolo episodio filmato ma da svariati, tra cui uno che annoverava come compratore un quindicenne, quindi inequivocabilmente un minore, anche senza l’esibizione di una carta d’identità. “Io tenevo l’hashish per me, per uso personale, l’ho ceduta solo a chi me l’ha chiesta, non sono uno spacciatore, voglio solo ottenere l’asilo”, si è difeso Ibrahim, che assieme ad altri due presunti complici ora è dunque ai domiciliari. Per cinque di loro lo stesso pm Federico Frezza, titolare delle indagini, aveva disposto la scarcerazione by-passando di fatto il “passaggio” davanti al gip.
Uno soltanto, il 25enne afghano Saeed Muhammad Fawad, resta dentro. Motivo: arestato già domenica e messo ai domiciliari, ne era pacificamente evaso dopo qualche ora, e alla fine era stato incarcerato su input del gip Luigi Dainotti. Il “vecchio” della gang invece, il 29enne pure lui afghano Angeeran Rasheed Khan, ha l’obbligo di firma negli uffici di polizia giudiziaria: era quello bloccato con in tasca un biglietto del treno per la Germania. Una “discrasia” tra azione di polizia e decisioni della magistratura? Banalizzando potrebbe sembrare così. In realtà entrambe rispondono alla legge, che da un lato impone alle forze di sicurezza impiegate sul campo di reprimere e bloccare le attività illecite, se necessario anche con l’arresto dei presunti responsabili di concerto con il pm, e dall’altro prescrive determinate e successive applicazioni cautelari, non per forza coincidenti con le prime, in attesa del processo che verrà.
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