Galeotta la Butterfly dal Verdi a Covent Garden. Anna non è Cho Cho-san
TRIESTE Era cresciuto in fretta, Giacomo. Dai giorni in cui si sbucciava le ginocchia tornando a piedi da scuola attraversando i campi che la sua famiglia coltivava per il signor Fantini, a quella sera in cui, tutto trafelato, arrivò di corsa davanti al teatro Verdi di Trieste, erano passati quasi quindici anni. Si era fatto un giovinotto alto e magro con gli occhi grandi e scuri e una frangia sbarazzina. A vent’anni viveva a metà tra i sogni e i sensi di colpa, concentrato sul suo futuro. La sua famiglia aveva sacrificato molto per concedergli di proseguire gli studi, ma nessuno si aspettava che arrivasse all’università. Giacomo era partito per Trieste, dove fortunatamente aveva una zia vedova che lo poteva ospitare, permettendogli di studiare ingegneria. Tutti questi investimenti erano talmente tanto impressi nella mente del giovane, che talvolta faticava a inserirci le informazioni che doveva ricordare per gli esami. Ma aveva un buon cuore e quando Corrado, il suo compagno di studi, rampollo di una famiglia molto nota in città, lo invitò a teatro per ringraziarlo per averlo aiutato a passare un esame molto complicato, Giacomo parve svenire. Andare a teatro, lui, che i teatri li aveva visti solo in fotografia? Gli sembrava un sogno. Sudava freddo quando accettò, con il cuore colmo di riconoscenza.
Corrado lo prendeva quasi in giro. Per lui, costretto ad andarci coi genitori o con la nonna, non era una grande novità, ma trovandosi solo a casa per finire gli esami mentre la famiglia era in montagna a sciare, aveva pensato di portarci Giacomo, per chiacchierare un po’ quando la storia si faceva noiosa. L’opera era Madama Butterfly ed era il 1954. Giacomo quella sera si innamorò due volte. La prima fu una conferma. Fin da piccolo ascoltava musica ogni volta che ne aveva occasione e poter stare dentro a un teatro con un’orchestra vera che suonava per lui, era stata un’esperienza esaltante. La seconda avvenne nell’intervallo, quando Corrado lo costrinse a lasciare il palco per andare a bere un caffè. Giacomo si stava alzando, quando vide, nel palco di fronte, una ragazza che gli trafisse il cuore.
Fu un bel problema per lui, durante il secondo atto decidere su chi concentrarsi, se sull’orchestra o su quella creatura bellissima che era entrata nel suo sogno. Uscito da teatro, Giacomo non riusciva a capacitarsi di ciò che gli era capitato. Sognò per mesi quella serata, ripercorrendola minuto per minuto. Provò a chiedere a Corrado se conoscesse la ragazza del palco di fronte ma lui rispose con totale disinteresse:
- Nobiltà. Uno come te ha più chances di uscire a cena con il soprano che di bere un caffè con quella.
- Sembra adorabile, sei sicuro di non esagerare, Corrado?
- Non ci devi pensare a quella, chissà a quale principe l’ha promessa la sua famiglia, o magari potrebbe fidanzarla uno di questi americani in sala, con la promessa di denaro contante e di serate in alta società. Una cosa è certa, loro non sono la classica famiglia triestina che lascia scegliere alla figlia e tu, caro mio, sei troppo povero. Brillante, ma povero. Giacomo non disse nulla. Era frastornato. Ogni tanto, quando vedeva sul giornale che c’era l’opera, scendeva a fare due passi da via Fabio Severo fino al Verdi. Sbirciava le persone, cercava di capire dalle loro espressioni se fossero felici della bellezza di ciò che potevano vedere, e la cercava. Invano. Tornava di corsa a casa per non perdere la diretta dell’opera alla radio. Anche se non poteva vedere i costumi o i cantanti gli sembrava di essere lì, e di vedere ogni dettaglio. Pensava ad Anna, la immaginava nel suo palco. Era riuscito a farsi dire il suo nome da Corrado che lo prendeva in giro per quella che definiva una cotta colossale nel momento sbagliato. Avrebbe preferito che Giacomo lo seguisse nelle sue peripezie.
- Trieste è tornata all’Italia, ieri. Noi studenti abbiamo in pugno la città. E tu dove sei? In camera a studiare.
- Se è per questo ho studiato anche in biblioteca qualche ora.
- Sciocco, qui si fa la storia e tu ti stai perdendo tutto.
Era vero, pensò Giacomo, ma le sue priorità erano altre. Le sue lotte erano altrove. Sua zia era molto orgogliosa di un nipote così serio e tranquillo, senza grilli per la testa, che aveva solo un difetto: la passione per l’opera. Alla zia l’opera non piaceva affatto. Le sembrava una cosa volgare in cui gli uomini si presentavano con le amanti che sfoggiavano abiti indecenti, ma sopportava i racconti di Giacomo riguardo la musica. Nessuno è perfetto, pensava, e se a questo pezzo di ragazzo piace questa robaccia non posso che augurargli di finire presto gli studi così se ne va e starò in pace.
Una sera Corrado lo invitò a cena. Giacomo stava rincasando, quando, passando davanti al Verdi, vide la gente uscire. Fu un istante. La riconobbe subito e si bloccò in mezzo alla strada, incantato. La ragazza sembrò alzare un braccio, quasi per salutare, ma venne chiamata da qualcuno. Giacomo ricordò la storia di Madama Butterfly e si immaginò di vederla correre tra le braccia di un americano che le avrebbe spezzato il cuore. Sentì il sangue ribollirgli nelle vene e andò a casa.
Passarono i giorni, i mesi e gli esami finirono. Giacomo, dopo aver ottemperato agli obblighi militari, era felice di iniziare a lavorare. Ogni tanto scriveva a Corrado, che, laureatosi grazie al suo aiuto, si sentiva pronto, come diceva lui, a conquistare il mondo. Mentre per Giacomo la partenza per la Germania era dolorosa, perché lo portava lontano dai suoi genitori e dai suoi fratelli, ma veniva addolcita dalla certezza di alleggerire molte loro preoccupazioni con il suo stipendio, Corrado si stava dedicando alla selezione della futura fidanzata seducendo buona parte delle ragazze che portava in giro con l’automobile che gli aveva regalato suo papà per la laurea.
La carriera di Giacomo procedeva a gonfie vele. Con la maturità aveva perso un pizzico di quella timidezza che lo aveva sempre fatto stare un passo indietro in compagnia e aveva iniziato a lasciarsi andare, almeno tra gli amici. Stringeva tra le dita una lettera che lo invitava a lasciare la Germania per raggiungere l’America con una promessa di uno stipendio da capogiro. La strappò. Non si fidava degli americani e non voleva incontrare per sbaglio Anna col marito. Sorrise, pensando che non aveva più saputo nulla di lei, e rispose all’azienda inglese che accettava la sua proposta. Sarebbe andato a Londra.
Una sera, mentre tornava da una cena con dei colleghi, passò in Covent Garden e vide che alla Royal Opera House l’indomani avrebbero dato Madama Butterfly. La sera dopo era lì, con un biglietto recuperato all’ultimo istante davanti all’ingresso. Giacomo era al settimo cielo e l’opera, con quel finale così ingiusto e triste, gli strappò anche qualche lacrima. Cercò di uscire subito e fu allora che la vide. Seduta vicino al corridoio. Era lei. Istintivamente si diresse nella sua direzione senza sapere cosa fare. Poteva provare a salutarla? Sentì l’ansia salire, ma inutilmente. Quando stava per avvicinarsi a lei un’anziana signora l’aveva distratta. Almeno non era con un marito, pensò. L’indomani mattina ebbe un bel daffare a cercare di ammazzare il tempo affinché arrivassero le sette, in modo che in Italia fossero le otto e che Corrado fosse sveglio. Quella mattina non lo era ma rispose al telefono.
- Che succede Giacomo?
- L’ho vista, è qui.
- Ma chi?
- Anna, la contessina.
Mi chiami prima dell’alba per questo? Le inglesi con le loro minigonne non devono essere così spettacolari se hai le allucinazioni. Comunque ti sbagli. Ho sentito una brutta storia. Temo che la tua amata sia all’ospedale.
- Che storia?
- Come immaginavo, aveva accettato di sposare un americano straricco. Soldi ne aveva, ma aveva anche qualche vizio e l’alcol lo rendeva violento. Una sera, dopo un giro per i locali del Viale XX Settembre, nel pieno dell’euforia è andato a casa della sua promessa sposa, pretendendo un anticipo sulla prima notte di nozze. Vedendolo così alterato la poveretta si è impaurita ed è scappata dalla finestra.
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