«Gabbiani in centro città a Trieste, da anni il problema è trascurato»

L’Enpa: abbandonato l’esperimento della sterilizzazione avviato nel 2007. Laureni: stiamo studiando quanto fatto in altre località, ma l’errore è lasciare cibo agli animali
Lasorte Trieste 24/05/13 - Via Rossetti 52, Luzzatto Fegiz, Gabbiani sul Tetto
Lasorte Trieste 24/05/13 - Via Rossetti 52, Luzzatto Fegiz, Gabbiani sul Tetto

È un’avanzata inarrestabile quella dei gabbiani a Trieste come in altre città italiane, tra cui Livorno, Genova Napoli e Torino. E la loro presenza tra i tetti delle case triestine, come documentato ieri a proposito della villa dei Luzzatto-Fegiz, è sempre più frequente. I volatili a Trieste appartengono principalmente a tre specie: il gabbiano “reale mediterraneo”, il “reale pontico” e il “reale nordico”. E la colonizzazione della città è sempre più spinta, complici due fattori: l’abbondanza di cibo, rintracciabile nelle discariche e nei cassonetti della spazzatura, ormai molto più “pescosi” del golfo stesso, e l’incalzante processo di cementificazione ed invasione degli habitat naturali, per cui ormai i tetti delle case sono molto più tranquilli delle baie frequentate dai bagnanti.

Ma anche l’immobilismo di Comune e Provincia ha contribuito all’inasprirsi del problema. È questa la denuncia che arriva dall’Enpa. «L’esperimento della foratura delle uova – racconta il presidente Gianfranco Urso –, portato avanti per qualche anno dal 2005, non si dimostrò risolutivo perché le femmine di gabbiano abbandonavano la covatura non appena si rendevano conto della foratura, per deporne di nuove subito dopo». Ma secondo Urso ci fu poi un esperimento che diede esiti positivi: nel 2007 fu avviato dall’Enpa, insieme a Provincia e Comune, un progetto pilota basato su uno studio dell’Università a cura dei professori Valdortigara e Zucca, che prevedeva la sterilizzazione del maschio o della femmina di gabbiano “inurbato” (ne bastava uno per coppia, perché questi animali sono per natura rigorosamente monogami). «Il progetto fu esportato con successo in molte città del Nord Europa – prosegue Urso -, ma a Trieste ebbe vita breve perché con il cambio di giunta in Provincia e in Comune fu abbandonato».

Da allora nulla è più stato fatto. «Si tratta di un problema di non semplice soluzione – commenta d’altra parte l’assessore comunale all'ambiente Umberto Laureni -, che stiamo cercando di risolvere studiando le strategie messe in atto da altre città del Veneto invase da piccioni e gabbiani. La foratura delle uova, come la sterilizzazione, è stata abbandonata perché ritenuta non risolutiva sul breve termine. Quello che è necessario fare è convincere la cittadinanza a non nutrire questi animali: se in città trovano cibo, l’invasione è inevitabile. Questo dovrebbe valere anche per gli esercizi pubblici, perché se ai tavolini del bar si lasciano contenitori aperti pieni di stuzzichini a nulla possono valere le pistole ad acqua. Lo stesso vale per le gattare che abbondano con i croccantini: dopo i gatti arriveranno senz’altro i gabbiani». Secondo Laureni insomma serve un cambio di mentalità globale. Ma come convincere i triestini, grandi amanti degli animali e dei gatti in particolare, a privarsi del piacere di distribuire loro cibo?

Giulia Basso

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