Fvg, l’esodo senza fine dei bancari a Nordest

Dal 2009 il taglio occupazionale è stato di 30mila unità. In regione gli organici tra il 2010 e il 2016 calati del 15 per cento

MILANO. La crisi occupazionale allo sportello è destinata a durare ancora a lungo. Dopo essere calati di oltre 30mila unità dal 2009 in avanti (con una contrazione superiore al 10%), i bancari si preparano ad affrontare una nuova serie di ristrutturazioni, che picchieranno forte soprattutto a Nord-Est. Secondo uno studio realizzato dalla Fabi (Federazione autonoma dei bancari italiani), sono 22mila gli esuberi già definiti nel settore bancario dagli ultimi piani industriali dei principali gruppi italiani, a fronte di meno di 3.600 nuove assunzioni.

La cura dimagrante interesserà soprattutto Monte dei Paschi di Siena (5.500 esuberi al 2021), Unicredit e Intesa/ex-banche venete (3.900 uscite a testa entro il 2019), Ubi (2.750 uscite +1.500 legate alle good bank acquisite nei mesi scorsi) e Banco Popolare-Bpm (1.800). Si tratta di dati nazionali perché tutti gli accordi finora firmati sono relativi alle uscite volontarie. Questo significa che di volta in volta management bancario e sindacati concordano i requisiti per la pensione anticipata (relativamente all’età dei bancari e all’anzianità contributiva), lasciando poi liberi i singoli lavoratori che rientrano nei requisiti richiesti se sfruttare o meno questa possibilità.

Dato che le buonuscite e gli assegni pensionistici prospettati sono generalmente generosi, l’adesione è massiccia: così è stato finora e la sensazione è che si procederà su questa strada anche nel futuro prossimo. Dato che buona parte delle situazioni di crisi ha origine proprio a Nord-Est (si pensi ad esempio agli organici che Intesa SanPaolo ha ereditato da Veneto Banca e Popolare di Vicenza) o comunque i gruppi hanno una presenza radicata nell’area (è il caso di Mps e dell’Antonveneta), è facile immaginare che le uscite saranno massicce tra Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.

Un’area già falcidiata dalle ristrutturazioni degli scorsi anni. Basti pensare che, secondo uno studio First Cisl, tra il 2010 e il 2016 il numero dei bancari in Fvg è passato da 7.487 a 6.350 unità, con un calo quindi del 15%, mentre nello stesso periodo il dato nazionale è passato da 326.327 a 299.645 (-8%) e in Veneto il calo è stato addirittura inferiore al 2012, dato che fino al 2012 si è continuato ad assumere, prima dei tagli. La contrazione si avvicina al 29% nel caso della provincia di Trieste, dove i dipendenti del settore sono passati in cinque anni da 1.656 a 1.184.

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Tornando all’analisi di prospettiva, resta da capire fino a quando le uscite potranno essere gestite tramite il Fondo esuberi dei bancari, che finora ha consentito il passaggio soft dall’occupazione al pre-pensionamento, ma negli ultimi mesi ha mostrato segnali di tensione proprio per l’aumento di uscita anticipate. Per il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, è fondamentale che l’impegno degli istituti di credito ad assicurare la capienza del fondo non venga meno: «Il Fondo non deve essere toccato», ammonisca, altrimenti «sarà guerra». Grazie a questo Fondo, aggiunge Sileoni, sono stati raggiunti tre obiettivi: «Sono stati evitati i licenziamenti, è stato garantito il ricambio generazionale - in media ogni quattro persone che escono c’è una nuova assunzione - ed è stato abbattuto il costo del lavoro».
 

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