Furbetti del Pedocin: timbravano per il collega, rischiano il processo
Il trucco era tutto sommato semplice: uno timbrava il cartellino dell’altro e viceversa. In questo modo, alternandosi, passavano la giornata due dipendenti comunali in servizio al bagno “La Lanterna”. I nomi sono quelli di Giampaolo Cafagna e Dario Gerli, rispettivamente di 55 e di 60 anni. Il pm Massimo De Bortoli, il magistrato titolare del fascicolo, ha chiesto il rinvio a giudizio per truffa ai danni del Comune dei due, definiti da qualcuno - con malcelata ironia - i per ora presunti “furbetti del Pedocin”. Sono difesi dagli avvocati Davor Blaskovic, Fabio Petracci e Alessandra Marin.
Nell’udienza di ieri davanti al gip Laura Barresi - aggiornata al prossimo 26 maggio - il Comune si è costituito parte civile con l’avvocato Maritza Filipuzzi.
Il periodo è quello del marzo 2012. Erano scattate le indagini interne del Comune nate da una segnalazione del dirigente Fabio Lorenzut. Era stato ufficialmente incaricato il comandante della polizia locale Sergio Abbate di attivare una serie di controlli mirati. Che in breve avevano evidenziato i sospetti di irregolarità. Così in breve i presunti “furbetti del Pedocin” erano stati smascherati. E subito erano stati attivati i procedimenti disciplinari da parte dell’Amministrazione: per Gerli sei mesi di sospensione poi ridotti a quattro mesi e dieci giorni; per Cafagna il licenziamento al quale poi ha fatto seguito il reintegro in servizio con la sospensione di sei mesi.
Le prove in effetti si sono dimostrate schiaccianti. Il Pedocin era stato praticamente monitorato da alcune squadre in borghese degli investigatori della polizia locale che, per una settimana, avevano controllato tutti gli ingressi, senza farsi sfuggire nulla. Per esempio, attorno alle 12.20 del 21 marzo Giampaolo Cafagna era arrivato davanti allo stabilimento con il suo scooter rosso quando, secondo il prospetto dell’Ufficio personale, avrebbe dovuto entrare in servizio circa un’ora e mezzo prima. Ma “miracolosamente” il badge magnetico aveva memorizzato il suo ingresso alle 10.46. Quello stesso giorno era risultata per Dario Gerli la timbratura di “fine servizio” alle 14.09 mentre gli investigatori lo avevano visto allontanarsi alle 13.35.
Un’altra volta Cafagna se n’era andato per circa mezz’ora dopo aver chiuso arbitrariamente in anticipo la porta dello stabilimento.
In altri controlli erano emerse anche altre assenze ritenute ingiustificate. E poi ancora: il 22 marzo Gerli risultava presente dalle 7.15 alle 15.30, Cafagna era arrivato alle 11.15 benché risultava avesse timbrato qualche tempo prima il cartellino. Ma erano state accertate altre irregolarità. Infatti, nel corso di uno dei tanti controlli, gli agenti della polizia locale avevano anche scoperto che nello stabilimento c’era una ventina di clienti amanti del mare ma che nel contempo «lo sportello adibito a cassa era chiuso con un pezzo di legno». Inoltre, questo compare nel rapporto che era stato trasmesso al pubblico ministero De Bortoli, «altri ospiti dello stabilimento entravano senza che nessuno aprisse la cassa».
Insomma, in quei casi, nessuno pagava il biglietto d’ingresso al Pedocin. «Gli operatori - si legge nella comunicazione della notizia di reato - potevano accertare che all’interno dello stabilimento Gerli era impegnato in alcuni interventi di piccola manutenzione mentre ulteriori ospiti dello stabilimento entravano nelle ore successive senza che nessuno aprisse la cassa». Insomma porte aperte - per tutti - al Pedocin.
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