Frigoriferi, fornelli e wc fuori uso: l’incubo a bordo della Al Filk sotto sequestro a Monfalcone

Le testimonianze dei marittimi sulla nave sotto sequestro da sette mesi: «Mai provata un’esperienza così»
Tiziana Carpinelli
A sinistra due delle foto scattate dai marittimi: la “doccia” col bidone e il barbecue sul ponte. Sopra la Al Filk (Bonaventura)
A sinistra due delle foto scattate dai marittimi: la “doccia” col bidone e il barbecue sul ponte. Sopra la Al Filk (Bonaventura)

MONFALCONE Sembra impossibile, ma è così. Nello stesso bacino di Panzano dove una bianca signora del mare è in allestimento, dove scivola elegantemente tra i flutti il Delfino verde e dove una serie di navi commerciali va e viene imperturbata col suo carico di merci per Portorosega, uno scafo discretamente arrugginito, senz’altro meno fulgido di questi, consegna invece l’odissea di un equipaggio dallo scorso 2 agosto nel generale black-out elettrico. Un equipaggio costretto a fare i conti con «medicinali scaduti», privo di mezzi, senz’acqua per lavarsi, obbligato a urinare e defecare in un secchio che poi, in assenza di wc chimici, forse getta a mare nonostante le convenzioni, e da ultimo pure «sguarnito di derrate».

I marittimi in “ostaggio”

Sono gli sventurati marittimi, la maggior parte indiani, della Al Filk, la portacontainer battente bandiera di Tanzania dall’8 febbraio detenuta in condizioni sub-standard allo scalo monfalconese perché riscontrata dagli ispettori della Direzione marittima di Trieste con 61 deficienze a bordo – praticamente un record nazionale – e oggetto poi di un sequestro giudiziario da parte della Procura di Gorizia per presunte irregolarità su atti o certificazioni.

Marittimi in “ostaggio” sulla nave Al Filk sotto sequestro a Monfalcone: caso in mano al sindacato mondiale
La Al Filk detenuta da febbraio

«Siamo dimenticati da tutti, non ce la facciamo più. Abbiamo fame, non sappiamo cosa addenteremo domani a colazione», hanno spiegato gli 11 marittimi ieri mattina sottobordo, dove sono scesi per rispondere alle nostre domande e raccontare pubblicamente la penosa situazione, appellandosi alla comunità di questo territorio.

Barbecue sul ponte

Le bombolette a gas prese coi loro soldi per cucinare si sono frattanto esaurite. Senza energia la cambusa è impraticabile. Così nei giorni scorsi non hanno trovato altra opzione che raccattare il legname di fardaggio e improvvisare un barbecue sul ponte. Cosa vietata, ma l’alternativa per sfamarsi qual è? Loro non ne hanno ravvisata altra, dopo le vicissitudini. «Non abbiamo mai vissuto una situazione di questo tipo», ammettono. E non lo dicono solo i quattro cadetti indiani (il più giovane è appena 19enne, alla prima esperienza), ma perfino il direttore di macchina libanese che ha sulle spalle una trentina d’anni nel settore della navigazione.

La richiesta del sindacato

La vita per questi “invisibili”, che ricaricano le torce elettriche e i telefonini per gentil concessione della Compagnia portuale nei locali della vicina palazzina, s’è ormai deteriorata a tal punto da far indicare a Paolo Siligato (Filt-Cgil), ispettore Itf, il sindacato internazionale dei marittimi, investito della vicenda da febbraio, una sola soluzione: la totale «evacuazione della nave, con il rimpatrio per via consolare dell’equipaggio» e la «nomina successiva di un custode giudiziario» con la messa in sicurezza della portacontainer e la guardianìa del bene sottoposto a fermo.

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La portacontainer all’accosto 1, ferma dall’8 febbraio a Portorosega. foto Bonaventura

A rischio incolumità

Questo perché, ed è la sua valutazione denunciata anche alla Capitaneria di porto con una nota di due pagine, per conoscenza inoltrata all’Autorità portuale del Mare Adriatico orientale e alla Prefettura, «la nave rappresenta un potenziale pericolo per l’incolumità dell’equipaggio, per quella pubblica visto che la nave non governa ed è a rischio incendio, per le attività commerciali del porto di Monfalcone e quelle del prospiciente cantiere navale». Sempre Siligato ricorda che nello stesso canale «transita il trasporto passeggeri del Delfino Verde». E che la Al Filk «rappresenta inoltre un potenziale rischio ambientale». Oltretutto è «palesemente “abbandonata” e come tale fin da febbraio segnalata da Itf all’Abandonment data base dell’Ilo e Imo», che sono l’Organizzazione internazionale del lavoro e l’Organizzazione marittima internazionale.

La portacontainer Al Filk bloccata da 4 mesi al porto di Monfalcone: aiuti all’equipaggio
La Al Filk all’accosto 3. Katia Bonaventura

Black out elettrico

Ma come s’è arrivati a un tale tracollo? La nave è in totale black out elettrico perché i pezzi di ricambio del generatore ausiliario, cui si è ricorso in sostituzione di quello principale per risparmiar gasolio, soggetto a dazi se la nave non è in partenza, si sono dimostrati inadatti, come confermato pure dal direttore di macchina. Sicché il dispositivo è fuori uso. Dovendo ricorrere di più al generatore principale, il gasolio è alla fine terminato e la Al Filk non ha più energia a disposizione. Ergo: niente frigoriferi, fornelli, aspiratori e ogni altri macchinario della cucina. Accendere fuochi con legno di risulta o usare bombole di gas, a detta di Siligato, «potrebbe comportare incendi».

Tra l’altro «quasi tutti gli estintori sono scarichi» e «non funzionano né i sensori antifumo né tanto meno gli sprinkler», come ha scritto nel suo aggiornamento della situazione a bordo della Al Filk, consegnato alle autorità. Le sentine non vengono scaricate da chissà quanto tempo. Inoltre l’assenza di luce pone problemi di sicurezza, visto che i marittimi sono costretti a usare torce elettriche ricaricabili. Per l’igiene personale, invece, i marittimi hanno rimediato un bidone da 200 litri che riempiono d’acqua (sempre grazie a CpM) per lavarsi all’aperto. Ennesimo disagio da sommare a un ambiente di bordo sui 35-40° e alle svariate notti trascorse a dormire, in assenza di climatizzazione, sul ponte. All’addiaccio, sotto le stelle. Ma nulla di romantico, qui. Solo la solitudine dei marittimi e il vasto cielo nero.

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