Frattini: «Il Punto franco si sposta senza Trattati»

Il titolare della Farnesina: «Per utilizzare gli spazi del Porto Vecchio basta la volontà dei nostri enti locali, non è una questione internazionale»

TRIESTE. Il Punto franco non è in alcun modo un ostacolo alla trasformazione del Porto vecchio. Per usare quegli spazi non è affatto necessario rincorrere per una firma di assenso 25 paesi firmatari del Trattato di pace del 1947. Non è vero che si tratta di uno spazio «internazionale» e dunque intangibile. E non è vero che per sistemare le cose nel senso collettivamente giudicato il migliore sia necessario scomodare la Farnesina, il Governo e il Parlamento per la scrittura di una nuova legge.

Termina qui il fecondo, frastagliato e a tratti confuso dibattito triestino, dove tutte le opzioni (negative, positive e mediane) in questi giorni hanno fatto matassa. Queste sono le valutazioni del ministro degli Esteri, Franco Frattini, che di fatto rimettono la giusta responsabilità in capo a chi spetta, e cioé semplicemente agli enti locali.

Ministro Frattini, il Punto franco nel Porto vecchio dato in concessione per un riuso «civile» è diventato materia di scontro. Ci sono ricorsi al Tar, c’è chi avverte che 25 paesi dovrebbero dare l’assenso a eventuali modifiche.
Abbiamo fatto uno studio sulla materia, e direi che non è davvero una questione talmente complessa.

Eppure a Trieste si sentono mille opinioni diverse, di parte politica e tecnica.
Oggi lo status di Porto franco di Trieste è disciplinato dal Memorandum di Londra del 1954. Ovviamente, il Memorandum ha superato il Trattato di pace. Fu siglato proprio a questo scopo. E il Memorandum ha conferito al Porto franco uno “status” che permette facilitazioni doganali rispetto al regime ordinario dei punti franchi. Ma non per questo comporta una immodificabilità assoluta.

Che cosa si può dunque fare, o non si deve?
C’è un solo obbligo. Di contemperare eventuali concessioni (a scopo urbanistico, commerciale, culturale o d’altro genere) col perdurante mantenimento della facoltà del commercio internazionale di fruire del regime di extradoganalità.

E questo è il nodo.
Ma, attenzione, si tratta di territorio italiano. Ha solo dei privilegi quanto all’extradoganalità. Questo porta essenzialmente due conseguenze: la prima, che è vietata la riduzione delle dimensioni del Punto franco, perché questo altererebbe l’obbligo internazionale alla fruibilità del porto. Dunque l’unico vincolo internazionale è relativo alle navi mercantili straniere. Seconda conseguenza: se il Punto franco viceversa si vuole allargare, oppure spostare per ragioni di miglioramento della funzionalità, questo non è assolutamente vietato.

È sufficiente garantire le dimensioni dell’accesso, dunque? Qui parliamo oltretutto di un ex scalo portuale, enorme e quasi totalmente in disuso e abbandono. Chi ha potestà sull’area relativamente ai Punti franchi?
Il Porto franco triestino non ha uno “status” internazionale. È territorio italiano. Il potere decisorio è una competenza delle autorità centrali o locali, purché nel rispetto delle norme urbanistiche, di protezione ambientale e così via. In questi settori c’è piena autonomia di azione. L’unica restrizione è che va garantita la libertà di utilizzo in materia doganale. Per lo spostamento dunque nessuna difficoltà.

Competenza di governo, enti locali, o entrambi?
Ma non occorre alcuna legge per attuare lo spostamento, se non si pongono le limitazioni citate. È sufficiente quanto va bene per tutto il territorio italiano: garantita la funzionalità vincolata, la decisione può essere presa da qualunque autorità locale, che siano il prefetto, la Soprintendenza, i sindaci, o i governatori.

Nessun ostacolo, dunque?
Se l’area di Punto franco in quanto aperta alle navi straniere non viene diminuita, certamente no.

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