Francesco Magris: Parigi sfigurata, non passerò lì sotto per parecchio tempo

TRIESTE «Vivo a Parigi da 25 anni e abito proprio in quella zona, non posso nemmeno concepire di passare di lì, in quel paesaggio familiare, e non vedere più Notre Dame. È come perdere una persona cara». Il mattino dopo il rogo dice così Francesco Magris, economista e docente universitario triestino, che si dichiara anche «molto pessimista» sulla ricostruzione. Che avverrà, sì. Ma la cattedrale-simbolo della Francia intera «non sarà più quella».
Professore, da triestino trapiantato a Parigi come ha vissuto queste ultime ore?
Subito, l’altra sera, ho iniziato a ricevere molte telefonate dai miei amici di Parigi, tutti sotto choc: sembrava impossibile che una cosa simile potesse accadere. Ci sono opere che paiono eterne, poi di colpo arriva una deviazione dell’ordine delle cose che fa cambiare radicalmente il paesaggio. Questo è stato uno sfigurare Parigi. Ora ne parlo tranquillamente, ma quando la vedrò - ci tornerò domani (oggi, ndr) dopo qualche giorno trascorso a New York - per me sarà uno choc.
È già partita la corsa alla solidarietà, anche con annunci di donazioni da centinaia di milioni di euro.
Parigi in questi anni è stata sottoposta a dure prove, attacchi terroristici, ma in queste circostanze è si è sempre attivata molta solidarietà. Nella solitudine che colpisce le persone nel mondo occidentale, ci sono simboli che accomunano e accadimenti che fanno sentire tutti più vicini: è come se le persone si rendessero conto d’un tratto di condividere qualche cosa con gli altri. I mecenatismi? Sì, ed è anche un modo per accaparrarsi le prime pagine. Ma è giusto così.
Ha avuto in qualche momento il pensiero che si potesse trattare di un attentato?
All’inizio, appena un amico mi ha avvertito di quanto stava succedendo, sì, ne ero convinto. Siamo nella settimana che precede la Pasqua, e i terroristi odiano due cose della Francia: da una parte la grande tradizione laica che non riconosce culti; in secondo luogo la tradizione cattolica francese, che oggi è più labile ma rimane.
Ipotesi archiviata comunque, gli inquirenti parlano di disastro colposo. Ma si sono scatenate polemiche sul cantiere e sui soccorsi.
Andrei cauto sulla rincorsa ai responsabili. Certo ai fatti bisogna anche trovare una giustificazione razionale, ma molte volte io penso che esista anche l’azzardo, l’alea. Gran parte della nostra vita è governata dal caso. Conosco i francesi, e sicuramente la loro grandeur dipende anche da come sanno valorizzare il loro patrimonio artistico: non sono un popolo che lasci perdere i propri patrimoni architettonici, e anche l’amministrazione comunale di Parigi non è la peggiore che la Francia abbia conosciuto. Poi, certo, io non sono in grado di dire se i sistemi di sicurezza e di manutenzione fossero all’altezza: verrà fatta un’inchiesta e staremo a vedere, se c’è qualche responsabilità deve emergere. Uno Stato che si trova ad avere un patrimonio simile deve garantirne la sicurezza a tutti i costi e ne è responsabile nei confronti del mondo. Perché se pensiamo a quante persone hanno visitato almeno una volta Notre Dame - io in 25 anni ci sono entrato due volte, perché si tratta sempre di fare le code... - è chiaro che quanto è accaduto non è uno sfregio alla Francia, ma all’umanità.
Si recherà a vedere quel che resta di Notre Dame?
No, non sono andato al Bataclan, dopo, e non andrò a Notre Dame: quello di curiosare mi sembra un gusto morboso. Meglio lasciare lavorare al meglio chi deve farlo. Anzi, non passerò di lì per parecchio tempo.
La cattedrale rinascerà.
Sì, ma non sarà più quella. È il grande problema dell’arte: quanto si conserva di un quadro dopo il restauro? Certo, oggi abbiamo la tecnologia, e come diceva Walter Benjamin la riproducibilità dell’arte è il segno della modernità. Ma l’opera d’arte è unica, e dobbiamo rassegnarci: Notre Dame non sarà più la stessa. —
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