Fra “Titonostalgia” e timori per il futuro nei Paesi ex jugoslavi si punta all’Europa

BELGRADO Profonda nostalgia per il passato, per un’età dell’oro sempre più remota ma che non si riesce a dimenticare. Forti preoccupazioni per il presente, associate a un diffuso malessere per il modo in cui oggi viene retta la cosa pubblica. E speranze in un futuro migliore, una volta che la regione sarà accolta nel club europeo che conta, l’Ue.
Si potrebbe riassumere così il polso della situazione nel cuore dei Balcani, lo stato d’animo delle persone in Bosnia-Erzergovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Serbia. È quanto ha messo in luce uno studio prodotto dall’autorevole International Republican Institute (Iri), think tank Usa molto attivo nella regione che, con l’aiuto dei sondaggisti di Ipsos, ha voluto capire quale sia lo stato d’animo generale nei vicini Balcani ancora extra Ue. Quello dominante risponde al nome di nostalgia, o “jugonostalgia”, che dir si voglia. A 40 anni esatti dalla morte di Tito, un’ampia maggioranza di cittadini di Paesi un tempo parte della Federazione rimpiange quell’epoca, ha svelato la ricerca – basata sulle risposte di alcune migliaia di intervistati - confermando le impressioni che si ricavano parlando con la gente in quasi tutta l’area.
«La vostra vita è migliore oggi o lo era prima del collasso della Jugoslavia?», chiedono spesso gli stranieri a chi lì ci vive. Lo hanno fatto anche i sondaggisti di Iri e Ipsos. Si stava meglio «prima della dissoluzione» dello Stato federale e delle guerre che ne sono scaturite, ha risposto il 62% dei bosniaci e dei macedoni, il 57% dei serbi, il 52% dei montenegrini, disegnando uno scenario fatto di dolorosi rimpianti. In controtendenza vanno solo i kosovari: per un 19% secondo cui si stava meglio ai tempi di Tito, c’è una molto ampia maggioranza (il 73%) che assicura che malgrado tutto le cose sono positive anche nel nuovo Kosovo indipendente. La nostalgia peraltro non sarebbe monopolio solo dei più anziani, di chi ha vissuto la giovinezza ai tempi della Jugoslavia: è un sentimento vivo anche «nelle generazioni che il socialismo non l’hanno vissuto» ma solo immaginato attraverso la narrazione di padri e nonni, ha scritto di recente lo storico Predrag Marković. È nostalgia, sempre nell’opinione dell’intellettuale, verso valori dissolti – e non solo nell’ex Jugoslavia - di «solidarietà, sicurezza, stabilità, inclusione sociale, socialità, solidità e auto-stima».
Ci sono alte percentuali di persone - oltre l’87% in Bosnia, il 61% in Macedonia, tra il 47 e il 49% in Bosnia e Kosovo, ma “solo” il 36% in Serbia - secondo le quali il proprio Paese sta «andando nella direzione sbagliata», maggioranze ovunque – tranne in Kosovo – di persone che si dicono certe che i giovani «non abbiano un buon futuro» in patria. Per quanto siano divise da confini, concordano nell’individuare i problemi più gravi: la disoccupazione, il costo della vita troppo alto, la corruzione, con più di un terzo che ritiene che le condizioni economiche della propria famiglia siano cattive o pessime. E c’è spazio anche per apprensioni sullo stato di salute della democrazia, «con la maggioranza in tutti i paesi» che considera «la disinformazione sui media» come un problema serissimo. «Tanta disinformazione circola» ogni giorno nella regione, su Tv e giornali e sulle bocche di politici al potere, «emanazione di poteri autoritari come Russia e Cina», ha denunciato Paul McCarthy, direttore generale dell’Iri per l’Europa.
Ma qualcosa, con lo scorno di Mosca e Pechino – e per la gioia di Bruxelles - pare non funzionare. Perché, se si tenesse oggi un referendum per l’ingresso nell’Unione europea, voterebbe sì il 50% dei serbi, il 53% dei macedoni, il 74% dei montenegrini, il 76% dei bosniaci. E il 93% dei kosovari. —
Riproduzione riservata © Il Piccolo