Fra Serbia e Kosovo riparte il dialogo. L’Europa spinge: «Serve coraggio»
BELGRADO È la madre di tutti i problemi nei Balcani, l’irrisolta questione che da anni provoca tensioni, dispute sfibranti e crisi internazionali cicliche. Tutto indica che i prossimi mesi saranno decisivi per una possibile soluzione. Certo è che le parti restano per ora distanti. E la luce alla fine del tunnel ancora non si intravede. Parliamo della questione Kosovo-Serbia, esplosa dopo la guerra del 1999 e l’indipendenza auto-dichiarata da Pristina ma mai riconosciuta da Belgrado.
Kosovo e Serbia devono però trovare un’intesa per «normalizzare» i loro rapporti: è questo l’obiettivo della Ue. Obiettivo che è tornato sul tavolo in questi giorni, con nuovi colloqui tra i leader di Pristina e Belgrado, spinti ad avvicinarsi dalle pressioni delle “super-potenze” europee, Francia e Germania e dall’impegno della nuova Commissione europea. E Francia e Germania hanno raggiunto già un risultato concreto, con un primo riavvicinamento tra le parti - dopo oltre un anno e mezzo di interruzione - in un video-summit a cui hanno partecipato, la settimana scorsa, l'Alto Rappresentante Ue per la politica estera Josep Borrell, il presidente francese Emmanuel Macron e la Cancelliera Angela Merkel, protagonisti il presidente serbo Aleksandar Vučić e il premier del Kosovo, Avdullah Hoti, i due nuovi “conduttori” del dialogo. Ieri la seconda tappa di un’auspicabile conciliazione, con una nuova videoconferenza – facilitata da Bruxelles – con Hoti e Vučić invitati-chiave. Ma la data cruciale sarà giovedì prossimo, con la ripresa formale dei negoziati Serbia-Kosovo a Bruxelles, con Hoti e Vučić attesi di persona nel cuore delle istituzioni Ue.
Quali le prospettive? Non facili, hanno fatto intuire le posizioni rese note dai leader serbo e kosovaro. Hoti ha voluto fare chiarezza sulla piattaforma negoziale di Pristina, assai poco flessibile, estremamente ambiziosa. Piattaforma che comprende di fatto cinque punti, ha spiegato nella videoconferenza organizzata da Macron e Merkel. Hoti ha detto che un eventuale «accordo globale» con Belgrado dovrà per forza includere un «riconoscimento reciproco» dei due Paesi, unica via – secondo Pristina – per spianare la strada a entrambe le nazioni verso l’adesione alla Ue. Accordo finale che dovrà pure obbligare i cinque Paesi Ue che ancora non lo hanno fatto – Spagna, Slovacchia, Grecia, Romania e Cipro – a «riconoscere l’indipendenza del Kosovo». Non è finita. Pristina ambisce infatti, e chiederà, di essere ammessa alle Nazioni Unite, mèta possibile solo con il ritiro della risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza. Infine, Belgrado dovrà impegnarsi a far luce sul destino dei “desaparecidos” della guerra del 1999 e pagare riparazioni per i danni causati nel conflitto.
È una piattaforma che non fa ben sperare, per la sua rigidità. Lo conferma la reazione di Vučić, che ha specificato che se il dialogo ha come obiettivo tacito il riconoscimento dell’indipendenza di Pristina, allora negoziare non ha senso; e che «ultimatum» non sono accettabili. Belgrado al contrario è solo «pronta a dialogare» su passi concreti «per migliorare i rapporti tra i due popoli, libera circolazione di persone, merci e capitali, ma non accettiamo ultimatum», ha aggiunto il leader serbo. «Dobbiamo negoziare, ma non è facile parlare con qualcuno che vive fuori dalla realtà», ha poi attaccato Vučić, un riferimento in particolare all’obiettivo di cancellare la risoluzione 1244.
Ma le parti si parlino, discutano, si mettano d’accordo, è l’unica via per la «stabilizzazione della regione» e di «fondamentale importanza per l’ingresso dei due Paesi nella Ue», è stato il messaggio di Macron e Merkel. Per questi negoziati «ci vuole coraggio da parte di entrambi» e soprattutto volontà di «compromesso e pragmatismo», ha auspicato ieri l’Alto rappresentante della Ue agli Esteri, Borrell. Nei prossimi giorni si capirà se l’esortazione sarà stata interiorizzata o meno, a Belgrado e a Pristina.—
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