Fontanini: «I politici triestini sulla "Fieste de Patrie"? Ignoranti che non conoscono la storia»

L’affondo del presidente della Provincia di Udine: «Esporre la bandiera con l’aquila in piazza Unità è una decisione che fa piacere. Gravissima la posizione del consiglio comunale giuliano contro la ricorrenza»
La bandiera del Friuli con l'aquila araldica sventola sul palazzo del Consiglio regionale
La bandiera del Friuli con l'aquila araldica sventola sul palazzo del Consiglio regionale

«Gente ignorante, che non conosce la storia». Pietro Fontanini parla dei triestini. Non di tutti, sia chiaro. Il presidente della Provincia di Udine, nel giorno in cui presenta le manifestazioni per la “Fieste de patrie dal Friûl” (una quarantina di appuntamenti per celebrare il 3 aprile), se la prende con quei triestini che si sono opposti al percorso che ha condotto all’istituzione in legge della festa.

Un attacco, quello di Fontanini, rivolto soprattutto allo sgarbo, così lo interpreta il presidente friulanista, dell’ordine del giorno votato dal Consiglio comunale di Trieste contro l’iniziativa del Carroccio. «Ignoranza», ripete Fontanini mentre si prepara all’anteprima odierna, con la consegna ai Comuni di Cividale e Montenars della Bibbia in lingua friulana, ma soprattutto al momento clou del lunedì di Pasqua, con Cividale al centro della festa e la Provincia di Udine, come già nell’ultimo decennio, in prima linea nell’organizzazione dell’evento.

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Un bimbo appende la bandiera del Friuli al balcone di casa

«Non si tratta di invenzioni - ribadisce il presidente di Palazzo Belgrado -: lo stato patriarcale è documentato e ancora parla di sé». Perché a Cividale? «Città centrale per la nostra storia, sede patriarcale dal 733 al 1238. Renderemo anche omaggio alla cattedra patriarcale: il trono dove il patriarca riceveva l’investitura temporale da parte dell’imperatore. Un simbolo ancora apprezzabile, così come lo sono il Duomo e il Castello di Udine ma anche la Basilica di Aquileia, di un periodo storico importantissimo per il popolo friulano». E pazienza se i triestini non digeriscono.

Che peso dà al riconoscimento in legge della festa da parte del Consiglio regionale?
Non mi pare un passaggio legislativo anomalo. In aula la maggioranza degli eletti è friulana e i friulani riconoscono la loro festa. Mi è sembrato un voto abbastanza scontato. Del resto, non poche volte, anche i triestini riescono a vedere soddisfatti i loro diritti. Dispiace, però, quello che è accaduto prima.

A che cosa pensa?
A un Consiglio comunale, quello di Trieste, che prepara e approva un ordine del giorno per dire di no a una festa che riguarda tre quarti della regione. Una cosa gravissima, rimasta un po’ sotto traccia. Nessun friulano si è mai sognato di mettere i bastoni tra le ruote alle iniziative organizzate nel capoluogo. Possiamo forse avere criticato i costi pubblici di qualche manifestazione, ma la libertà di Trieste di gestire le sue cose non è mai stata messa in discussione.

Anche in Consiglio regionale non sono mancati i contrari.
Posizioni molto deboli, gente ignorante, che non conosce ciò che è accaduto nei secoli. La nostra è una storia antica e documentata, parliamo di personaggi e fatti storici incontestabili.

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Ci sono troppi campanili in questa regione?
Più ignoranza che campanili. E, da parte dei friulani, poca autostima. Non si tratta di campanili come possono esserci a Trieste o Pisa, ma di un territorio molto vasto, la Patria del Friuli, che per tanti anni è andata avanti con la sua autonomia. Un ricordo che non può essere cancellato. Senza dimenticare la chiave fondamentale della lingua. Tutti elementi che denotano una specificità.

La bandiera con l’aquila araldica in piazza Unità è un segnale che può servire a trasmettere il messaggio?
È una decisione che fa piacere. Forse pensata per sanare la ferita aperta con l’ordine del giorno del Consiglio comunale.

Colpe specifiche anche del sindaco?
Dell’intera assemblea. Anche se il sindaco, visto il ruolo, avrebbe dovuto battersi per non fare approvare quei contenuti.

La presidente Serracchiani ha sensibilità per queste tematiche?
No. Ma non c’è sensibilità nemmeno in Consiglio regionale: la festa in legge è ancora troppo poco. Ci si dovrebbe rendere conto che per difendere la specialità resta solo il discorso delle minoranze linguistiche, l’ultimo baluardo a tutela dell’autonomia. Va coltivato e rafforzato.
 

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