La Flex di Trieste cambia nome: AdriaTronics. Bocciato il piano industriale
Al tavolo a Roma hanno partecipato solo i rappresentanti di FairCap. Assente il managementi americano. Duro il ministro Urso, preoccupati sindacati e Confindustria.
![Il tavolo di crisi della Flex a Roma al ministero](https://images.ilpiccolo.it/view/acePublic/alias/contentid/1h7gaei1kcjtlkctgw7/0/flexxflexxx-jpg.webp?f=16%3A9&w=840)
Addio alla Flex di Trieste. Lo stabilimento venduto al fondo tedesco FairCap cambierà insegne e prenderà il nome di AdriaTronics. Questa mattina, mercoledì 12 febbraio, si è tenuta una nuova riunione del tavolo di crisi ministeriale, al quale il management della multinazionale americana stavolta ha deciso di non sedersi neppure. Alla riunione hanno partecipato solo i rappresentanti di FairCap che, dopo l’acquisizione dello stabilimento delle Noghere, hanno aggiornato istituzioni e sindacati sul piano industriale pensato per Trieste, ricavandone in cambio una nuova sonora bocciatura.
Flex, assenza incomprensibile
In una comunicazione al ministero delle Imprese giunta a poche ore dalla riunione, Flex ha dichiarato di considerarsi ormai non più coinvolta nelle vicende della fabbrica triestina, ceduta dopo la decisione di Nokia di non servirsi più dell’impianto per la produzione di componentistica. L’assenza è stata definita «incomprensibile» dai tecnici del ministero.
Duro il ministro Urso
Dura la presa di posizione del ministro Adolfo Urso, presente al tavolo per alcuni minuti: «Il piano industriale illustrato dalla FairCap è irricevibile, invito l’azienda a presentare al più presto un nuovo, vero programma di sviluppo sostenibile che tuteli produzione e occupazione. Sia ben chiaro: se l'intenzione fosse quella di acquisire per poi chiudere, lo contrasteremo in ogni modo. Vigileremo sul passaggio di proprietà da Flextronics a FairCap, che saranno chiamate a risponderne qualora emergano incongruenze. Ciascuno si assuma le proprie responsabilità e risponda delle proprie azioni».
![La manifestazione a Trieste contro le crisi industriali: il corteo dei lavoratorio Flex Foto Francesco Bruni](https://images.ilpiccolo.it/view/acePublic/alias/contentid/1h7gbmlhstqq0hzgcw2/0/copia-di-copy-of-image_144490883.webp)
I sospetti dietro alle manovre
Un riferimento all’ipotesi che la cessione da Flex a FairCap non nasconda altro che la volontà di assegnare al fondo il lavoro sporco dei licenziamenti e aggirare così le sanzioni imposte dalle leggi statali in quesi casi.
Dal canto proprio, una nota degli assessori Sergio Bini e Alessia Rosolen «stigmatizza l’atteggiamento di Flex: dopo aver assicurato, nell'ultimo incontro del tavolo ministeriale, la propria disponibilità ad accompagnare il percorso di rilancio dello stabilimento, ora l'azienda fugge da ogni responsabilità, dimostrando ancora una volta la propria inadeguatezza e il disinteresse per i lavoratori, le loro famiglie e un intero territorio. Da parte del fondo FairCap non abbiamo assistito a un atteggiamento diverso: è stato presentato un esercizio di buone volontà, che però non corrisponde a un piano industriale e a una strategia concreta per garantire l’occupazione dei 347 lavoratori. Mancano le premesse minime per instaurare una collaborazione istituzionale seria con la nuova proprietà».
Ma FairCap è andata poco oltre quanto emerso nelle precedenti riunioni.
Il cambio del nome
Il fondo ha chiarito di aver ultimato il trasferimento del 100% delle azioni e di aver acquisito immobili e macchinari. Flextronics cambierà nome in AdriaTronics, rimanendo nella sede attuale e mantenendo il management attuale. Di concreto tuttavia non c’è nulla, se si eccettua la ribadita volontà di creare sinergie fra l’impianto triestino e la Electro System di Imola con i suoi 35 dipendenti. Nessuna spiegazione è emersa soprattutto sulla possibilità di attrarre nuovi clienti per dare respiro a un complesso produttivo da 350 dipendenti dopo la perdita della commessa Nokia, capace da sola di generare l’80% del fatturato. Ciononostante, FairCap ritiene di poter passare da 10 milioni di ricavi previsti nel 2025 ad almeno 30 milioni nel 2029. Nessun impegno è stato assunto sui livelli occupazionali e restano dunque le affermazioni dei precedenti incontri, quando il fondo tedesco ha chiarito di non poter evitare esuberi.
![Il presidio dei lavoratori fuori dai cancelli Foto Massimo Silvano](https://images.ilpiccolo.it/view/acePublic/alias/contentid/1h7gcjnweojh3qn8s5u/0/copia-di-copy-of-image_144461728.webp)
Fissata una nuova riunione
Ai funzionari del Mimit non è rimasto che chiedere a FairCap di ripresentarsi al tavolo (la prossima riunione è fissata per il 26 febbraio, due giorni prima della scadenza della cassa integrazione) con un quadro più preciso. Le segreterie di Fim, Fiom e Uilm parlano di «piano industriale assolutamente generico, privo di numeri e pieno di buoni intenti. Il tutto sarebbe mirato ad un miglioramento della strategia commerciale verso una crescita dei volumi al 2026. L'occupazione? L'unico dato che abbiamo ricavato dall'incontro è la volontà di proseguire con ammortizzatori sociali senza meglio specificare un chiaro impegno al mantenimento dell'occupazione».
I sindacati vogliono garanzie
Per Cgil, Cisl e Uil, «Fair Cap ha detto di voler lavorare a stretto rapporto con istituzioni e parti sociali, ma evidentemente solo per la parte legata agli ammortizzatori. Ma servono impegni chiari sulla volontà di mantenimento della missione industriale del sito e dell'occupazione. Solo di fronte a questi impegni chiari si può parlare di collaborazione e strumenti per gestire una fase di ricerca dei clienti». L’Usb ritiene a sua volta che «il fondo non dia nessuna prospettiva: il piano industriale è un “io speriamo che me la cavo” e una truffa che nasconde una volontà speculativa. Imbarazzante il tentativo di richiedere gli ammortizzatori sociali a prescindere, come se la collettività possa permettersi di pagare l'avventurismo spregiudicato di queste aziende».
Confindustria preoccupata
Massimiliano Ciarrocchi, direttore di Confindustria Alto Adriatico, parla di «unanime preoccupazione per l'assenza di elementi concreti sul futuro dei 350 lavoratori dello stabilimento. Non emerge con chiarezza quale sia la motivazione strategica che ha portato all'acquisizione del 100% dell'azienda, quali siano le proiezioni concrete in termini di fatturato, volumi e dotazione organica, dove si intenda portare l'impresa, in quale settore, con quali attività e con quante risorse umane».
Serracchiani: un tavolo sulle crisi triestine
«Il fondo FairCap si è presentato a mani vuote, esibendo una serie di cartelline alla fine delle quali c’è l’unica vera sostanza e cioè una richiesta di sostegno alle istituzioni. Non è assolutamente chiaro in cosa consista l’impegno del soggetto che dovrebbe prendersi in carico la capacità produttiva dello stabilimento Flex e soprattutto che ne sarà dei lavoratori, per i quali non si vedono ancora prospettive concrete. Il ministro Urso oggi ha assunto una postura severa verso l’azienda e ci attendiamo di vedere qualcosa di più concreto nella prossima riunione, perché così non si va da nessuna parte». Lo ha dichiarato la deputata Debora Serracchiani, che oggi ha seguito il tavolo Flex che si è riunito al Mimit.
«La comunicazione da U-Blox della procedura di licenziamento collettivo – aggiunge Serracchiani – è un altro colpo che il territorio non può permettersi di assorbire. Appare ormai necessario ragionare su un tavolo istituzionale ad hoc dedicato all’area di crisi industriale triestina».
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