Flex rischia la cassa integrazione fino a giugno
TRIESTE Un’ennesima fumata grigia ha avvolto il futuro della Flex, lo stabilimento di materiali elettronici in zona industriale.
«Ci sarà cassa integrazione fino a giugno, mese più mese meno»: così Antonio Rodà, segretario della Uilm, riassume con una scadenza temporale, dilatata fino a buona parte del 2022, la precarietà della situazione in una fabbrica che da un anno e mezzo abbondante non riesce a superare la metà campo.
Per ieri pomeriggio il ministero dello Sviluppo economico aveva indetto un tavolo via satellite convocando Regione, azienda, sindacati. Flex, rappresentata da Sergio Bosso e dal redivivo Fabrizio Magistrali, ha spiegato che il quadro resta pesante a causa del difficile approvvigionamento di semi-conduttore dal Sudest asiatico. Ne viene così condizionato il 30% della produzione e la messa a punto degli apparecchi di quinta generazione. Per cui, perlomeno fino a primavera, non si ha ragione di intravvedere - hanno detto i due dirigenti - un punto di svolta. Enel dovrebbe lanciare un nuovo bando di gara. Sono inoltre in ballo un paio di nuovi progetti , ma nessuno dei due sembra tale da imprimere un colpo d’ala al claudicante andamento dell’ex stabilimento Alcatel Lucent, passato a Flextronics nella primavera 2015.
Ancora delusione sugli spalti sindacali, che avrebbero preferito una presenza politico-tecnico più robusta da parte del ministero, presidiato da Luca Annibaletti in assenza del viceministro Alessandra Todde e del responsabile delle crisi aziendali Stefano D’Addone. Fiom Cgil schierava Valentina Orazzini e Marco Relli, Alessandro Gavagnin per Fim Cisl, Antonio Rodà per Uilm, Sasha Colautti per Usb.
«Non riusciamo a cavare un ragno dal buco - l’amarezza di Gavagnin - se finalmente si ottiene una commessa, poi non arrivano i componenti. Un circuito perverso che sta andando avanti da un anno e mezzo».
Tranciante anche Marco Relli: «Progetti tali da rappresentare un’alternativa al monopolio della Nokia non ne vedo, quindi significa che Flex continua a sopravvivere con un 90% di lavoro procurato dalla stessa Nokia. Di conseguenza debbo ritenere che senza Nokia lo stabilimento triestino non avrebbe prospettive».
Secondo Colautti è grave il fatto che l’azienda non abbia voluto chiarire la tenuta occupazionale, ovvero non si sia assunta la responsabilità di dichiarare se l’attuale organico di quasi 600 addetti (un quinto di “somministrati”) è destinato a reggere oppure se l’ormai cronico 25% di cassa integrazione possa trasformarsi in qualcosa di più grave. E non basta addossare le colpe sui semi-conduttori - conclude Colautti - perchè le colpe sono riconducibili soprattutto agli errori aziendali.
A livello politico da segnalare l’intervento del senatore “dem” Tatjana Rojc, presente all’incontro da remoto, che a sua volta ha lamentato come Flex non abbia voluto/potuto prendersi impegni sul fronte occupazionale.
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