Fiume: bora, mare, palazzi asburgici uniscono gli italiani rimasti e quelli che sono fuggiti

Caffé e Coca-cole, ragazzi con zaini, uomini dai lineamenti marcati, signore già mature inguainate dentro attillati e corti vestiti estivi: chiacchiere e risate riempiono piazza Adriatica, piazza Palmiro Togliatti, piazza Regina Elena. Non sono tre piazze, ma la stessa risalendo nel tempo. Eppure la storia degli ultimi ottant’anni a Fiume non sta nemmeno dentro questi tre nomi. Né Berlino, né Danzica: non c’è città europea che abbia visto più guerre e rivoluzioni, dittature e esodi.


Il sole scotta, il «Korzo» pulsa di vita, Fiume tenta di dimenticare ciò che dimenticare non si può. Basta scoprire come si chiama il più noto, frequentato e storicamente affermato disco-bar della città, non certo un Planet Hollywood da capitale occidentale globalizzata. Si chiama Ian Palach ed era già un successo con la Jugoslavia perché lo studente ceco che si uccise dandosi fuoco in piazza Venceslao per protesta contro l’invasione dei carri armati russi a Praga nel 1968 era considerato un’icona non anticomunista, bensì antisovietica e l’antisovietismo con Tito andava forte fin dal ’48. Il Palach va forte, così come El Rio, altro locale cult per i giovani, che ha invertito il flusso dei divertimenti con Abbazia: la piccola località costiera mèta di villeggiature per le teste coronate di mezza Europa agli inizi del Novecento è diventata negli ultimi anni luogo di vacanze soprattutto per anziani, è a Fiume che da tutto il Quarnero e dalla parte orientale dell’Istria ci si va a divertire.


È in questi elementi, e nello sbarco in area pedonale di negozi come Benetton, Sisley, Max che i giornalisti di Radio Fiume, che occupano un elegante palazzetto storico al centro del Corso da dove fanno un notiziario ogni due ore, identificano nuova linfa pulsante che sgorga appena da tre o quattro anni, nel cuore della vecchia Fiume. Eppure la città non ha certo un respiro da capitale della nuova Europa, nella quale la Croazia oltretutto deve appena entrare, ma piuttosto il fiato irruento di un centro che ha sofferto, troppe volte massacrato nel suo tessuto sociale. Palazzi asburgici, mare, bora, pluralismo etnico, c’è poco da fare questa miscela dà gli stessi risultati a Fiume come a Trieste: autocommiserazione, scosse di rilancio sì, sufficienti per scuotersi, ma mai tanto forti da proiettare in avanti.


A far da gigantesco spartiacque storico la seconda guerra mondiale, il grande esodo e poi Trieste capitale degli esuli e Fiume capitale dei rimasti: l’Unione degli italiani che conta una cinquantina di comunità italiane sparse nei territori oggi di Croazia e Slovenia ha sede nel prestigioso palazzo Modello che un tempo ospitava il Circolo degli ufficiali della Marina austroungarica. Anche per questo le due città così uguali sono pure così lontane. Una distanza ben simboleggiata dal viaggio con il pullman che per fare 65 chilometri impiega anche due ore e mezza. Alla stazione autocorriere di Trieste si pagano 7 euro e qualcosa, più un euro e mezzo per il bagaglio. Basovizza, Pese, Kozina, Starod, Pasjak, Sapjane, Rupa, Permani, Jusici. La corriera taglia prati verdi e paesi deserti dove campeggiano solo i cartelli «sobe», e grill.


Nell’età dell’Europa allargata per fare sessanta chilometri si passano due confini e si riceve la visita di quattro poliziotti: un italiano, uno sloveno, un altro sloveno e un croato. Soltanto a Matuglie, vicino alla meta, comincia animazione: turisti all’ufficio informazioni e in gelateria. Il pullman si cala ad Abbazia, poi finalmente Fiume è all’orizzonte. A Palazzo Modello si sono recentemente insediati al vertice della comunità italiana di Fiume Agnese Superina, neopresidente e Roberto Palisca, a capo del comitato esecutivo. «Gli iscritti alla nostra comunità - spiegano - sono 6.900, ma sono inclusi matrimoni misti e simpatizzanti perché gli italiani di nazionalità sono 3.200.»


La sola città conta in tutto 145 mila abitanti, con il circondario 200 mila, ma dopo la fine della Jugoslavia gli italiani hanno fatto una singolare scoperta: sono sì i soli autoctoni dopo i croati, ma non sono più la prima minoranza. Sono superati dai serbi, ottomila. «Sotto la Jugoslavia quei serbi c’erano già - spiega Agnese Superina - così come tanti bosniaci, ma logicamente essendo il Paese unito loro erano considerati maggioranza e quella italiana era l’unica minoranza ufficiale. Ecco perché avevamo forse un’identità più forte e definita. Dal punto di vista della tutela la situazione oggi con la Croazia è simile, ma ad esempio per le carte d’identità bilingui abbiamo dovuto rifare e rivincere le battaglie già fatte con la Jugoslavia.»


Nel 1910 quando Fiume sotto la corona degli Asburgo era il porto soprattutto dell’Ungheria quella italiana con 24 mila rappresentanti era la prima etnìa seguita da quella croata e da quella ungherese. Dopo la seconda guerra mondiale lasciarono la città 25 mila italiani, molti dei quali si fermarono a Trieste. «Oggi le minoranze censite sono ben diciannove - raccontano ancora a Palazzo Modello - e siamo finiti mescolati tra quelle».


Dal 28 settembre al primo ottobre si svolgerà in città la decima edizione della rassegna artistico-culturale delle minoranze nazionali attive a Fiume. Dall’ultimo censimento, quello del 2001, risulta che il 12,5 per cento degli abitanti, cioè 18 mila e 40 cittadini, non sono croati. Funzionano addirittura nove Consigli delle minoranze: oltre a quello italiano, quelli albanese, bosniaco, montenegrino, ungherese, macedone, rom, sloveno e serbo. Agnese Superina, in ferie da Radio Fiume dove lavora come giornalista, si accinge a trascorrere un pomeriggio al mare «sulle nostre belle spiagge tutte ghiaia e ciotoli» e aspetta pazientemente uno dei tanti caratteristici autobus arancione che attraversano la città. La fermata è quasi davanti al teatro. Si chiamava Giuseppe Verdi, ora è dedicato a Ivan de Zajc, compositore fiumano del diciannovesimo secolo. Al suo interno vi opera anche il Dramma italiano. Ora lì davanti c’è una donna con una parrucca bionda, due borse di nylon e una bottiglia di Pelinkovec che trangugia versandolo in un bicchiere da aranciata. È fin qua che arriva il grande mercato ortofrutticolo all’aperto dove luccicano al sole il verde delle insalate e il rosso delle angurie.


Il mercato è una delle principali attrattative per i turisti che a Fiume sono in aumento: un 14 per cento in più quest’anno con una media di 2,1 notti passate in città anche se gli alberghi sono ancora soltanto quattro. Poco più avanti, all’hotel Continental, poco oltre un monumento dedicato all vittime della guerra partigiana, c’è l’appuntamento con uno degli italiani di maggior successo a Fiume, Elvio Baccarini, preside della facoltà di Filosofia dell’università di Fiume, una delle sei università della Croazia ma la sola assieme a quelle di Zagabria e Spalato a contare numerose facoltà. Non si può capire il personaggio Baccarini, nè una città come Fiume, senza introdurre il discorso sul calcio, un’istituzione da queste parti, una passione per il professore che è nientedimeno che il presidente dell’Inter club di Rjeka, fiero avversario del Milan club presieduto dal giornalista e collaboratore del Piccolo Andrea Marsanich. «Purtroppo recentemente è sorto in città - scherza Baccarini - anche un club di tifosi di una tal squadra di Torino che non voglio nemmeno nominare.»


Il calcio è uno dei principali elementi che unisce la città a Trieste e all’Italia non fosse altro perché gli amaranto della Fiumana giocavano nella serie A italiana e Fiume ha dato al nostro Paese giocatori del calibro di Loik, Varglien, Mihalich, mentre ancora oggi i tifosi croati nello stadio di Cantrida gridano «Forza Fiume». Rapidamente si arriva alla città vecchia dove c’è anche un arco romano e la chiesa dei capuccini di San Girolamo, del quattordicesimo secolo, ma anche una trattoria dove sgombri e sardoni, annaffiati da Malvàsia, non sono affatto male.

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