Fiorella Kostoris: «Al Petrarca docenti maestri di vita»

Fiorella Kostoris, economista di fama internazionale e docente all’Università La Sapienza, ha vissuto a Trieste fino al suo matrimonio, a 21 anni, con l’economista e politico italiano Tommaso Padoa-Schioppa. In seguito, scelte di vita e professionali l’hanno portata a Milano, in Europa, negli Stati Uniti sino al ritorno in Italia, nella capitale. Il suo ricordo degli anni triestini, tra cui quelli al Liceo Petrarca dove ha sostenuto gli esami di maturità nel ‘63, è però molto vivo. «Il centenario del Petrarca mi colpisce anche per il suo cadere in parallelo a quello di un’altra realtà centrale della prima gioventù, la Sinagoga di Trieste, dato che frequentai la scuola ebraica quando ero bambina».
Cosa ricorda dei docenti del liceo?
Ero molto legata a tutti i miei docenti. Ricordo con un sorriso quando annunciai che mi sarei iscritta a Economia e Commercio, e il professor Pietro Pescani, che amava visceralmente le lingue classiche, trasalì sbottando: No, Kostoris, lei no!. Ma il mio ricordo va soprattutto al professor Livio Pesante: per me non fu soltanto uno straordinario insegnante di storia e filosofia, ma un maestro a tutto tondo. Mi fece conoscere anche il Circolo Carlo Antoni di pensiero politico socialista e quello della Cultura e delle Arti.
Quando conobbe Pesante?
Il nostro primissimo incontro al Petrarca risale a quando avevo 13 anni ed era commissario interno all’esame di maturità del ragazzo cui già volevo bene e che sarebbe diventato mio marito. Come regalo gli avevo portato il 45 giri della “Morte e la fanciulla” di Schubert. Pesante lo notò e rimase colpito dalla scelta insolita per la mia giovane età.
Qualche anno dopo la morte di Pesante le fu chiesto di parlare di lui a nome degli studenti.
Ne fui onorata e commossa. Fu anche l’occasione di un significativo incontro con la professoressa Anita Burian Pesante. Mi rinnovò, con la sua personale testimonianza, la stima particolare e l’affetto del cugino nei miei confronti, ma inaspettatamente rischiarò anche un episodio oscuro che risaliva al mio esame di ingresso alla prima media. Durante la prova mi era stato chiesto di aprire il sussidiario a caso, leggere e poi riassumere cosa vi era scritto. Ma io avevo richiuso bruscamente il libro dicendo, con decisione: io di questo non parlo e non parlerò mai! Non ne avevo spiegato il motivo, ma il tema era la storia dei giovani catecumeni. Uscita dalla scuola ebraica per frequentarne una pubblica avevo pensato: se credono che cambiando scuola avrei cambiato anche religione si sbagliano di grosso! Da adulta mi era rimasta la spiacevole sensazione di essere stata ingiustamente scortese con i docenti.
E poi come andò?
Con mia grande sorpresa, tanto tempo dopo, a Trieste, proprio la professoressa Burian Pesante mi disse, rammaricata, che, ricordandosi il mio esame da commissaria, da tempo voleva chiedermi in cosa avesse sbagliato. Diede così, finalmente, anche a me l’opportunità di scusarmi, consentendo a entrambe di ricostruire un puzzle del passato di cui ciascuna conosceva solo un pezzo. L’atteggiamento della professoressa è stata encomiabile. Il mio comportamento di bambina di 10 anni invece era stato arrogante.
Cosa ricorda della scuola ebraica?
Ricordo l’indimenticabile Irene Jacchia, ex professoressa di storia e filosofia del Dante. All’esame di quinta dovevamo portare ciascuno i cosiddetti “medaglioni”, le biografie di una decina di personaggi storici, di solito risorgimentali, ma accanto alle figure più usuali e scontate lei ci fece scoprire personalità femminili internazionali e di primo piano, come il premio Nobel Marie Curie o la fondatrice dell’infermieristica moderna Florence Nightingale. Alle medie, al Dante, poi, la professoressa Antinori fu dolcissima in anni per me difficili perché avevo appena perso mio padre.
E della sua classe al Petrarca?
La scuola era centrale per tutti. I ragazzi erano simpatici, come Paolo Cortivo, poi divenuto primario radiologo, bravissimo a imitare i nostri professori, ma soprattutto eravamo molto affiatate tra noi ragazze, più mature a quell’età. Ero molto amica di Miriam Coen, poi andata a studiare all’Università di Torino e di Nicoletta Goldschmidt, divenuta medico, nipote del dottor Bruno Pincherle, pediatra, stendhaliano, legato al mondo socialista. Era stato il primo medico a visitarmi a Roma, dove sono nata dopo la guerra. Fu lui a sposarci, a Trieste, dov’era divenuto consigliere comunale.
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