Finisce nel nulla per i veti incrociati la mediazione Ue fra Kosovo e Serbia
BELGRADO I segnali sono tanti, univoci, negativi. E fanno intuire che sarà assai difficile che Kosovo e Serbia possano raggiungere già nei prossimi mesi – e comunque prima delle elezioni europee e del cambio della guardia alla testa della Commissione - il tanto auspicato storico accordo di normalizzazione dei loro rapporti con la “facilitazione” della Ue, la chiave per la stabilizzazione dei Balcani.
Il quadro pessimistico è stato confermato ieri da una voce autorevole, il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, entrato a gamba tesa contro Pristina e Bruxelles denunciando che è «evidente che gli sforzi della Ue sono falliti» e il dialogo è a un punto di quasi-non ritorno. Falliti, ha detto Lavrov, soprattutto per colpa dell’intransigenza di Pristina, che «si è rifiutata di attuare tutti gli accordi raggiunti finora», in testa quelli riguardanti la Comunità delle municipalità serbe in Kosovo, la cui luce verde è attesa da anni. Pristina ancora nicchia, perché il Kosovo considera la Comunità come un rischio per la tenuta dello Stato e non permetterà la «nascita di una Republika Srpska» in Kosovo, ha ribadito ieri il presidente Hashim Thaci.
E poi c’è la questione delle forze armate regolari kosovare, in procinto di ricevere definitivo assenso, «una grossolana violazione della risoluzione 1244 dell’Onu», ha puntualizzato Lavrov. Senza dimenticare gli altri fronti aperti, come il possibile ingresso di Pristina nell’Interpol. E le tante provocazioni di questi ultimi mesi. Parole dure, quelle del Cremlino, ma realistiche, anche perché arrivano dopo il flop totale dell’ultimo round negoziale a Bruxelles, giovedì sera. Round che ha rivelato quanto le parti siano distanti, vicine a mettere una pietra tombale sul dialogo.
La Serbia vuole continuare a discutere, ma nessun rappresentante serbo parteciperà al negoziato finché «Pristina non annullerà tutte le decisioni illegali» prese finora, in testa i nuovi dazi kosovari contro le merci serbe e bosniache, ha affermato il presidente serbo Vučić. Che ha aggiunto che è impossibile parlare con chi «minaccia di insediare una base militare» del futuro esercito kosovaro nel nord a maggioranza serba. Anche Thaci, a Bruxelles controparte al dialogo, ha ribadito che il dialogo è l’unica via. Ma ha poi parlato di «comportamento aggressivo» di Belgrado, rifiutando di rispondere a ultimatum come quelli lanciati da Vučić.
A rendere il tutto più complicato, il possibile stop da parte della Ue alla liberalizzazione dei visti per i kosovari. Se così sarà, Pristina si ritirerà dalle trattative, ha minacciato il premier Haradinaj. Il dialogo «è morto, Mogherini ha cercato di far credere che esista» ancora ma non è così, ha osservato allora l’autorevole politologo serbo, Dušan Janjić. Che ha previsto che l’unica speranza è che i “veri” negoziati comincino dopo le elezioni europee. —
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