Fincantieri chiama ma solo 7 operai Eaton accettano l'assunzione

Contattati 14 ex dipendenti rimasti senza lavoro. La Fiom: i numeri sono altri
Bonaventura Monfalcone-19.02.2018 Visita Matteo Salvini-Eaton-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura
Bonaventura Monfalcone-19.02.2018 Visita Matteo Salvini-Eaton-Monfalcone-foto di Katia Bonaventura

MONFALCONE «Fincantieri è controllata dal capitale pubblico, ha il pieno delle commesse, ora c’è anche lo sportello dell’Agenzia regionale del lavoro all’interno del cantiere, è un’azienda dello Stato e chiediamo che ci supporti. Deve assicurare il lavoro alla gente del territorio». È diventato subito uno slogan, ripetuto all’infinito, durante le sedute del tavolo di crisi dopo il licenziamento di oltre 150 persone della Eaton, messi in strada dalla multinazionale americana che ha chiuso lo stabilimento di Monfalcone che fabbricava valvole. Uno slogan sempre in bocca ai lavoratori che affollavano gli incontri istituzionali o le iniziative di protesta, ai sindacati, allo stesso sindaco di Monfalcone Anna Cisint che ne aveva fatto una bandiera di battaglia e spingeva su Fincantieri e le altre realtà metalmeccaniche del territorio per il riassorbimento dei licenziati Eaton.

Una tale emergenza, la perdita secca di 150 posti che con l’indotto salgono a 200, che ha spinto l’amministrazione a siglare un protocollo di intesa con lo stesso amministratore delegato Giuseppe Bono. Fincantieri ha confermato il rispetto dell’accordo e la disponibilità a visionare i curriculum dei lavoratori. A una prima scrematura dei vari nomi sono stati scelti e convocati i primi 14 lavoratori. Ma di questi, ha fatto sapere non senza stupore Fincantieri, ne sono rimasti soltanto 7. Gli altri sette «per vari motivi hanno declinato l’invito o rinunciato». Quelli rimasti sono stati assunti come manutentori alle dipendenze di Fincantieri. Ma a pochi giorni dall’inizio del lavoro uno dei sette si è licenziato dicendo che «il lavoro non è adatto a lui».

Alla Fincantieri, anche se non è giunto alcun commento ufficiale, sembra siano rimasti senza parole. E una seconda scrematura, che sarebbe potuta partire con altri nomi da valutare, non è stata nemmeno messa in campo e da quanto si sa non ce ne saranno più. Cos’è successo?

Il sindacato, in particolare la Fiom, invita alla prudenza e dà la sua versione dei fatti: «Non è andata proprio così - dice il segretario Livio Menon da subito in prima fila sulla crisi della Eaton - a me non risulta. In realtà di quei 14 solo in sette sono stati richiamati la seconda volta per essere assunti. E comunque anche se della durata di un anno il posto era a tempo determinato. Certamente Fincantieri al termine di solito conferma le assunzioni, dipende dalle professionalità. Ma le cose non sono andate esattamente come dice Fincantieri, ci sono vari aspetti da valutare».

A spiegarlo in parte, sottolinea il sindacato, sarebbe la situazione attuale dei 153 licenziati dalla Eaton. Di questi circa 20-25 avrebbero trovato un nuovo posto di lavoro.

«Oltre alla Fincantieri le maestranze Eaton hanno trovato lavoro in altre realtà della metalmeccanica - aggiunge Menon - alcuni hanno accettato anche di andare direttamente in alcune grosse ditte dell’appalto». Il nodo riguarda però un gruppo di almeno 40 persone licenziate dalla multinazionale americana.

«Può darsi che tra i curriculum esaminati siano state scelte le persone più adatte e soprattutto più esperte uscite dall’azienda, magari nello stesso campo delle manutenzioni - azzarda il segretario della Fiom - si tratta di quelli più anziani con più anni di esperienza. Sono almeno una quarantina di persone, ma queste sono ormai sulla via della pensione. Dopo due anni di mobilità e disoccupazione infatti potranno rimanere a casa con l’assegno pensionistico. Forse alcuni di loro non se la sono sentita di perdere quest’occasione e non avevano intenzione di tornare a lavorare».

Resta da capire infine le motivazioni che hanno portato uno dei sette lavoratori assunti a licenziarsi subito dopo. «Non ho idea dei motivi - conclude Menon - probabilmente il fatto che il posto era a tempo determinato per un anno. E il lavoratore che è uscito magari ha ricevuto un’offerta migliore da un’altra azienda».

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