Fiamme innescate da un guasto a Trieste. La famiglia ora rischia il processo

Un anno fa l’incendio scoppiato al quarto piano aveva danneggiato vari alloggi. All’origine alcuni apparecchi difettosi di cui il pm ora chiede conto ai proprietari

TRIESTE Un appartamento in fiamme. Danni alle abitazioni vicine. Gente in strada. Era il pomeriggio del 2 luglio dell’anno scorso, poco dopo le cinque, quando il fumo aveva iniziato a fuoriuscire dalle finestre del quarto piano al civico 33 di via Crispi. Un fumo bianco e denso che dalla parte alta del palazzo si era lentamente propagato nella zona circostante. L’incendio aveva quasi distrutto un alloggio di una famiglia di triestini. Nessuno si era fatto male e nessuno si era intossicato, fortunatamente.

Ma oggi, a distanza di poco più di un anno, tre componenti di quella famiglia si trovano al centro di una richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero Federico Frezza (attualmente procuratore facente funzioni). Il magistrato ha aperto un fascicolo a loro carico per “cooperazione in delitti colposi di danno”. È quanto previsto dall’articolo 449 del codice penale per «chiunque cagiona per colpa un incendio o un altro disastro».

Detta in altri termini, secondo l’accusa gli inquilini dell’alloggio avrebbero responsabilità nell’incendio. Si tratta di due coniugi, proprietari dell’appartamento, e della giovane figlia.

I Vigili del fuoco, sul posto con autoscala e autobotte, erano riusciti a domare completamente le fiamme, escludendo il pericolo di altri focolai, dopo circa tre ore di lavoro. Un intervento tutt’altro che semplice.

Il palazzo era stato completamente evacuato e la zona chiusa al traffico per consentire ai soccorritori di operare con la maggior sicurezza possibile.

Dopo i primi accertamenti sulle cause del rogo, innescato in salotto, si era fatta largo l’ipotesi del corto circuito. Ma secondo l’accusa la famiglia utilizzava in casa apparecchi elettrici difettosi. In soggiorno, in particolare, nel corso delle verifiche i pompieri avevano rinvenuto un televisore, due computer (di cui uno con monitor e l’altro portatile) e un ferro da stiro con caldaia. La figlia convivente, inoltre, avrebbe lasciato il pc attaccato alla presa dopo averlo utilizzato.

In mancanza di «utilizzatori a fiamme libere», si legge nelle carte giudiziarie, «l’innesco (dell’incendio, ndr) è stato presumibilmente generato da malfunzionamento elettrico». Le fiamme avevano distrutto praticamente l’intero alloggio.

Ma il rogo aveva arrecato seri danni anche al resto del palazzo, vale a dire alle abitazioni dei vicini: quelle al quinto piano, al quarto, al terzo, al secondo e al primo. Chi un’intera stanza, chi solo la porta di ingresso. Danni dovuti sia alle fiamme, sia alla lunga e complicata attività di spegnimento.

Un alloggio al terzo piano, in particolare, era stato da poco ristrutturato. Lì, nel giro di un paio di settimane, era atteso il primo ingresso di un nuovo inquilino.

I residenti erano stati evacuati rapidamente. E nessuno, quel giorno, aveva potuto far rientro nella propria abitazione.

Il caso giudiziario, salvo rinvii dell’ultimo momento, dovrebbe approdare in Tribunale per l’udienza preliminare già nella giornata di domani. Il giudice incaricato è il gup Luigi Dainotti. I tre componenti della famiglia, imputati nel procedimento penale, sono difesi dagli avvocati Giacomo Andriolo del Foro di Trieste e da Davide Zignani del Foro di Udine. —




 

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