Ferrovia veloce Budapest-Belgrado. Il progetto diventa segreto di Stato

L’Ungheria classifica come riservati gli atti sull’operazione da due miliardi finanziata per l’85% da un prestito cinese
Il premier ungherese Viktor Orbán
Il premier ungherese Viktor Orbán

BELGRADO. Un progetto infrastrutturale miliardario, già di per sé pieno di zone d’ombra, su cui ora viene pure posto il segreto di Stato, troncando così ogni speranza di comprenderne con esattezza i contorni e il reale impatto sull’indipendenza geopolitica del Paese. Accade nell’Ungheria di Viktor Orbán, dove s’infiammano le polemiche sul mega-progetto della ferrovia veloce Budapest-Belgrado, tassello fondamentale del futuro corridoio su rotaia dal porto del Pireo, controllato dalla Cina, fino all’Europa centrale via Balcani, super-ferrovia pensata per facilitare l’afflusso di merci “made in China” verso l’Europa.

Della ferrovia superveloce – il più importante progetto in Ungheria dopo la centrale nucleare Paks II sponsorizzata da Mosca - si sa che sarà lunga 350 chilometri e che dovrebbe essere entrare in funzione entro il 2022. Non si saprà per almeno dieci anni, invece, quali saranno le clausole del contratto di costruzione sul tratto magiaro (circa 160 km), dopo che il Parlamento di Budapest ha deciso di classificare come riservati per un decennio appunto tutti i più significativi aspetti della realizzazione dell’opera infrastrutturale, che dovrebbe costare circa due miliardi di euro, per l’85% coperti da un mega-prestito della Exim Bank cinese. Le ragioni del segreto? Budapest si è limitata a sostenere che rivelare a tutti ogni particolare «ostacolerebbe l’abilità dell’Ungheria a condurre una politica estera» autonoma, suggerendo anche che il prestito cinese potrebbe essere a rischio, senza il dovuto riserbo.

Le giustificazioni non faranno che accrescere le controversie emerse già in passato, in particolare le polemiche sull’influenza della Cina sugli affari interni di Budapest a causa del prestito, ma anche sull’utilità dell’opera, considerato che a sud di Belgrado, verso la Grecia, tutto è fermo. Stime ungheresi inoltre prevedono che ci vorranno tempi lunghissimi prima che l’investimento sulla ferrovia dia i suoi frutti. In più, nei lavori saranno impegnate in gran parte imprese cinesi, qualche azienda russa sul fronte serbo mentre su quello magiaro si parla anche di ditte vicine al tycoon pro-Orbán, Lorinc Meszaros. Il progetto poi cozzerebbe contro i piani strategici dello stesso Orbán, che aveva puntato sul porto di Trieste e non sul Pireo, ha attaccato il liberale Laszlo Keresztes, subito dopo l’apposizione del segreto.

Quella ferrovia sarà «un pozzo senza fondo» di soldi pubblici e non, ha rincarato il partito nazionalista Jobbik. Sulla stessa linea il Partito socialista, che ha denunciato che ora Budapest sarebbe sempre più alla mercé di Mosca e Pechino, a causa dei debiti contratti. E anche nei corridoi del potere a Bruxelles si teme che la Cina stia tentando di «comprare influenza» in un Paese Ue approfittando della crisi generata dalla pandemia, ha rivelato l’agenzia Reuters.

Ma Budapest non è un’eccezione, a Est e nei Balcani. Lo ha confermato l’autorevole Center for Security Studies (Css) dell’Eth Zurich, che in un nuovo studio ha ammonito che, soprattutto in tempi di grave recessione, i Paesi della regione potrebbero sempre di più rivolgersi a Pechino con il cappello in mano, concedendo mano libera e influenza in cambio di prestiti. Ciò vale in particolare per grandi «progetti infrastrutturali». Il tutto va letto in un piano per «una più ampia dipendenza geo-economica» dell’area da Pechino, ha lanciato l’allarme il Css segnalando che la Serbia è ora «fra i primi beneficiari degli investimenti cinesi» in energia e infrastrutture e ricordando che, ad esempio, solo in Montenegro il 40% del debito estero è in mano ai cinesi, impegnati nella costruzione dell’autostrada verso Belgrado. —


 

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