Ferriera in Comitato portuale: una sfida tra lady di ferro
Chissà se Perla, stavolta, ci perderà il sonno. Il Comitato portuale - attualmente in corso - non annuncia il solito chiacchiericcio monocorde che tanto concilia il dormiveglia al proverbiale cagnolone di scorta di Marina Monassi nelle stanze dei bottoni della Torre del Lloyd. Qualcuno, proprio stavolta, potrebbe sbattere i pugni. O per lo meno alzare la voce. E la posta. Degenerando, improbabile ma non impossibile, in un’istanza di sfiducia al capo.
È la Ferriera, l’urgenza delle urgenze triestine, a chiamare in effetti la resa dei conti tra la stessa Monassi, padrona di Perla ma soprattutto del Porto in quanto presidente dell’Authority, e l’asse Regione-Provincia-Comune. Quello di stamani, d’altronde, è il Comitato portuale convocato da Monassi dopo le firme messe giovedì scorso nella capitale, in calce all’Accordo di programma sul futuro portuale e industriale di Servola e dintorni Ezit, da cinque uomini di Governo e dal manager di una Spa dello Stato come Invitalia, oltre che dalla governatrice Debora Serracchiani (che oggi sarà assente per motivi istituzionali), dall’assessore provinciale Vittorio Zollia per conto della numero uno di Palazzo Galatti Maria Teresa Bassa Poropat e da Roberto Cosolini come sindaco. Tutti insieme appassionatamente. Meno uno: quel Walter Sinigaglia, il segretario generale dell’Autorità portuale, spedito da Monassi come ambasciator che non porta pena ma neanche autografo.
Ce ne sono, di scenari possibili, compresa l’ipotesi che si debba rimediare a una mera svista amministrativa, che il Comitato portuale che si sarebbe dovuto svolgere prima di giovedì (mai convocato prima di allora) si celebri per forza postumo. Esiste poi la pista che alla fine si possa addirittura tornare a ridiscutere a Roma. Ma è remotissima, prossima allo zero. Due invece sono le opzioni più papabili. La prima è che Monassi ribadisca d’aver agito nel rispetto del principio di massima precauzione, ritenendo che l’Accordo, così come è scritto, possa mettere in discussione il bilancio dell’ente e prefigurare un danno erariale. La correzione in extremis chiesta e non ottenuta - giudicata evidentemente pleonastica rispetto a ciò che la legge 84/94 attribuisce comunque all’Autorità portuale in base a tabelle ministeriali - riguardava la precisazione tra le righe dell’Accordo che oltre alle operazioni portuali e alla riscossione dei canoni (puntualizzazioni incassate proprio nella mattinata prima della firma col placet del ministro delle Infrastrutture Maurizio Lupi, a mitigare la figura commissariale di Serracchiani) restasse d’esclusiva competenza dell’Authority anche la quantificazione dei canoni stessi. Monassi, ferma nella sua interpretazione, potrebbe così reclamare la conta, mettendo ai voti la ratifica del patto della capitale e quindi a verbale la propria astensione se non la propria contrarietà. Il che porterebbe in dote il paradosso di una controfirma sull’Accordo da parte di un’Authority il cui capo però si dissocia.
Il secondo scenario evoca il colpo di teatro. L’asso nella manica sotto forma di proposta alternativa alla resurrezione della Ferriera. Monassi potrebbe in effetti sottoporre al Comitato un documento aggiornato dello studio di fattibilità di Alpe Adria su una banchina di Servola portuale, logistica e persino commerciale, ma senza Ferriera. Ma davanti al fatto compiuto - l’Accordo di programma - sarebbe un azzardo. Data però la storia recente dei rapporti più o meno diplomatici tra Torre del Lloyd e resto del mondo, non lo si può escludere. Accadesse, potrebbe anche finire in guerriglia, con la troika anti-Monassi pronta forse a mettere sul tavolo addirittura la firma dell’Authority favorevole alle linee guida di Assoporti sulla bozza di riforma delle autorità portuali, che fra le altre cose profetizza una Trieste sotto Venezia nel futuro distretto logistico dell’Alto Adriatico.
@PierRaub
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