Fermeglia: «Il futuro? È anche nella rete»
TRIESTE In occasione dell'Internet Day, che si festeggerà in tutt'Italia il 29 aprile per celebrare il trentennale dell'avvento di internet nel nostro Paese, l'Università di Trieste propone una serie di iniziative dedicate alla cultura digitale, dalle conversazioni con docenti ai laboratori, che si terranno presso la nuova residenza universitaria creata nell'ex Ospedale Militare di via Fabio Severo. Tra i numerosi temi sul piatto per l'occasione nell'ultimo seminario della giornata, dal titolo “Le Macchine per noi o noi con le macchine”, che vedrà la partecipazione del Rettore dell'ateneo giuliano, si discuterà del rapporto tra scienza, tecnologia e società. Proprio da questo rapporto, concepito come un triangolo in cui la scienza rappresenta l'apice, è necessario partire, secondo Maurizio Fermeglia, per raccontare come internet, e più in generale la digitalizzazione, ha cambiato e sta cambiando completamente il nostro mondo.
«Scienza, tecnologia e società – dice il rettore - hanno proceduto per troppo tempo separatamente, con il risultato che la società ha tratto dalla tecnologia meno benefici di quanto avrebbe potuto e la scienza è rimasta troppo lontana dal popolo. L'Università gioca un ruolo fondamentale nell'avvicinare questi tre elementi: è l'unico luogo in cui scienza, tecnologia e società convivono fianco a fianco. Da un lato produciamo scienza, che è ciò di cui la tecnologia si nutre, dall'altro abbiamo contezza di cosa la società chiede alla tecnologia, benefici tangibili e semplificazione della vita».
Quali sono gli effetti più significativi della digitalizzazione sempre più spinta sulla società?
«La digitalizzazione sta cambiando i mestieri tradizionali: in futuro ne spariranno alcuni ed altri ne nasceranno. Nel saggio “The future of employment”, dei due statistici inglesi Osborne e Frey, si preconizza che se la penetrazione del digitale nella società continuerà a questo ritmo sarà altamente probabile una riduzione massiva di posti di lavoro entro il 2030: spariranno gran parte dei mestieri di intermediazione, dai venditori di telemarketing agli sportellisti bancari, i contabili, gli agenti immobiliari.
E, pensando all'avvento di Google Car, anche i tassisti e i camionisti sono a rischio estinzione. A vincere questa sfida per la sopravvivenza, ma anche a costituire la materia prima per la nascita di nuove professioni, saranno i mestieri ad alto contenuto intellettuale, che necessitano di creatività e cultura».
E gli effetti sull'Università?
«All'Università ci dobbiamo attrezzare per questo futuro e dobbiamo aiutare i giovani ad orientarsi, comunicando quali saranno i percorsi lavorativi di domani. Tra i mestieri emergenti ci saranno i progettisti di organi artificiali, i gestori di Big Data, in grado di elaborare analisi statistiche molto avanzate, i manager della comunicazione online, gli architetti virtuali per la trasmissione dei dati. Dovremo introdurre figure innovative con calma e pazienza, per non rischiare di precorrere i tempi: dobbiamo fare i conti con le esigenze del mercato locale, ma dobbiamo anche sapere in che direzione si evolve il mondo, o rischiamo di restare tagliati fuori».
A livello infrastrutturale, che miglioramenti tecnologici sono necessari per un'Università al passo con i tempi?
«Questa è un'isola felice rispetto al resto d'Italia: pensiamo ad esempio ai Big Data, che stanno diventando sempre più importanti per la ricerca scientifica. Per generarli siamo in una situazione favorevole: il Sincrotrone sta generando quantità enormi di dati, così come la Sissa con il suo High Performance Computer. Abbiamo inoltre un sistema di collegamento a banda larga tra gli enti di ricerca e un progetto con Insiel per collegare anche le scuole ed altri enti pubblici. Ma trasferire dati non basta, bisogna anche gestirli in maniera ottimale, il punto su cui il "sistema Trieste" dovrebbe investire. Se è vero, infatti, che negli ultimi due anni abbiamo prodotto una mole di dati inimmaginabile, non abbiamo ancora una solida struttura di gestione dei Big Data».
Negli Stati Uniti la crescita di corsi professionali online, elargiti direttamente dalle grandi imprese tecnologiche, spaventa le Università, che temono di perdere il loro primato. In Italia è ipotizzabile uno scenario simile?
«Questa è una tendenza che esiste, ma in Italia non la vedo facilmente percorribile: il Ministero e l'Agenzia di Valutazione mettono grande attenzione nel controllo qualità dei corsi di studio prima di attribuire loro valore legale. E non credo che tutte le attività che si svolgono all'Università, dai laboratori allo sviluppo di progetti in team, possano essere trasportate nel virtuale. Vedo per il futuro una soluzione di commistione tra lezione online e attività de visu».
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