Federico, sopravvissuto al crollo del ponte Morandi: «Il caffè all’autogrill. Poi il buio»

TRIESTE Le immagini sono sempre quelle: la sosta all’autogrill e poi l’ospedale. Federico Cerne, uno dei due triestini sopravvissuti al crollo del Ponte Morandi, non ha altri ricordi di quel 14 agosto del 2018 quando a bordo della sua Volkswagen Golf stava andando insieme a Rita Giancristofaro, la seconda sopravvissuta residente a Trieste, all’acquario di Genova.
«Le emozioni oggi sono contrastanti – racconta il massofisioterapista della Pallacanestro Trieste – perché da un lato c’è la felicità di essere tornato a Genova con le mie gambe, dall’altro la tristezza perché 43 persone non hanno avuto questa fortuna. È stato un evento che non dovrebbe mai accadere: un ponte non può crollare in questa maniera».
A distanza di poco meno di due anni l’Italia celebra il nuovo viadotto San Giorgio realizzato su progetto di Renzo Piano. Una festa a cui però non hanno partecipato i parenti delle 43 vittime e una parte degli oltre 500 sfollati delle case sottostanti. «Non l’ho seguita neanche io per impegni di lavoro visto che stiamo preparando la nuova stagione dell’Allianz. Posso comprendere la scelta dei parenti delle vittime – spiega Cerne – anche perché c’è poco da festeggiare. Non sappiamo neanche quando ci sarà il processo per capire quali sono state le cause e le responsabilità di quanto avvenuto».
Il giorno del crollo Cerne stava raggiungendo il capoluogo ligure e i ricordi si fermano all’autogrill: «Eravamo a 10 minuti dal Ponte Morandi. Abbiamo bevuto un caffè e fumato una sigaretta prima di completare l’ultimo tratto di strada». Alle 11.36 il passaggio sul Polcevera e il volo di oltre 50 metri sui binari in disuso. A prestare i primi soccorsi un poliziotto e tre vigili del fuoco: «Giovanni è l’agente e poi ci sono i pompieri Marco, Alberto e Stefano. Ancora oggi siamo in contatto. Sono stati due anni lunghi e la riabilitazione sta ancora proseguendo». Il bollettino medico parlava di una infrazione della clavicola sinistra, della frattura della nona costola bilaterale, del femore sinistro e del polso destro, della lussazione della rotula sinistra, di una piccola emorragia interna, un versamento pleurico e diversi ematomi.
«Penso sia giusto ringraziare le equipe mediche dell’ospedale Villa Scassi di Genova, di Reggio Emilia, dove sono stato sottoposto a cinque interventi, e dell’ospedale Maggiore a Trieste. Vorrei fare i nomi di tutti, ma sono talmente tanti che sicuramente mi dimenticherei qualcuno».
«Quel ferragosto – ricorda il massofisioterapista – era la prima volta che guidavo io sul viadotto, ho dei parenti ad Albissola quindi per arrivarci capitava di passare sul Morandi. Da quel giorno sono tornato a Genova tre volte: a febbraio del 2019 con mio padre e poi altre due volte, l’ultima lo scorso gennaio, per delle visite mediche, in treno. Emozioni, come detto, contrastanti. Ora sto lavorando per rialzarmi del tutto con le mie forze e come ho sempre fatto nella mia vita». —
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