Fecondazione assistita, «Io, mamma da single: ho esaudito il mio sogno all’estero. Adesso l’Italia cambi»

Barbara Zoina si racconta nel libro “Donne singole e maternità negata” L’obiettivo, con l’associazione Coscioni, è di sensibilizzare il Paese

Elena Placitelli
Barbara Zoina assieme a sua figlia. Foto di Andrea Lasorte
Barbara Zoina assieme a sua figlia. Foto di Andrea Lasorte

Sono le 18 del pomeriggio, a quest’ora il centro di Trieste è abbastanza frequentato, Barbara Zoina cammina in via Dante tenendo per mano sua figlia: la bambina ha quattro anni e dopo una giornata all’asilo mostra cenni di stanchezza. La madre la prende in braccio, la bacia amorevolmente ed esclama:

«Dopo, viene tutto così naturale».

Sono passati dieci anni da quando Barbara Zoina, originaria di Avellino e triestina d’adozione, decise di diventare mamma da sola. La prima cosa che ha cercato dopo essersi laureata in Giurisprudenza è stata una stabilità professionale: vive a Trieste dal 2011 perché è qui che lavora come dipendente pubblico e dove ha comprato casa. Quando ha maturato la decisione di diventare madre restando single aveva già 40 anni.

Solo che in Italia la legge 40 del 2004 vieta alle donne single di concepire dei figli ricorrendo alla fecondazione medicalmente assistita. Barbara ha così intrapreso almeno sette viaggi procreativi all’estero, nei Paesi europei dove le tecniche di fecondazione sono concesse anche alle single.

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Il Palazzo della Consulta, sede della Corte Costituzionale, Roma. Foto Ansa

È andata in Danimarca, quattro volte in Belgio e due in Spagna: ed è qui dove, dopo tre anni di tentativi, nel 2019 ha concepito sua figlia. Della sua esperienza ha fatto un libro, “Donne singole e maternità negata”, Europa Edizioni, e adesso, oltre a fare la mamma, si batte perché tutte le donne possano diventare madri come lei, ma restando in Italia. E perché i figli nati come la sua possano crescere in una società inclusiva.

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Barbara, quando ha scelto di diventare madre aveva un compagno…

«Sì, eravamo profondamente innamorati, ma lui era già padre e non desiderava un’altra paternità, mentre io ho maturato il desiderio di avere dei figli. Ci siamo sempre rispettati e così è stato giusto lasciarci».

Perché non ha cercato un altro uomo che volesse dei figli come lei?

«Scegliere di condividere la vita con un’altra persona per soli fini procreativi non era strada che avrei intrapreso. Avrei certamente potuto trovare altre occasioni, ma avevo capito che alla vita di coppia preferivo quella da single e che non volevo rinunciare alla maternità».

Qual è stata la difficoltà più grande di questo percorso?

«I viaggi che ho dovuto affrontare sono stati estenuanti. Devi presentarti in una clinica estera all’ora esatta per la fecondazione e basta che un volo venga cancellato per mandare tutto all’aria. Al ritorno in Italia ti senti quasi in colpa, quando altre donne come te possono vivere tutto più serenamente solo perché convivono o sono sposate con un uomo».

Quanto le è costata, in termini economici, questa scelta?

«Non ne ho precisa contezza. Non essendo più giovanissima, i primi quattro tentativi di inseminazione artificiale non sono andati a buon fine, e nemmeno la fecondazione in vitro. Poi, seguendo i consigli medici, ho optato per la embriodonazione in Spagna, e lì il secondo tentativo finalmente riuscì. Sono stata anche molto fortunata perché all’estero ho avuto parenti e amici che mi hanno ospitato. Ciò nonostante, calcolo di aver speso dai 20 ai 25 mila euro».

Qual è il ricordo più bello dei suoi viaggi procreativi all’estero?

«Sicuramente l’amicizia con le persone che ho incontrato. In Danimarca, Belgio e Spagna mi sono sentita una cittadina a tutti gli effetti europea, parte di una società non giudicante ma accettante, dove facevo una cosa ormai diffusa. Ho dato a mia figlia il nome di una giovane ragazza conosciuta a Copenhagen. Era alla sua terza gravidanza e mi spiegava come in Danimarca il welfare sociale sia particolarmente orientato al sostegno della monogenitorialità».

Sua figlia sa come è stata concepita?

«Certo. Il rapporto di fiducia tra madre e figlio è fondamentale, quindi le ho detto subito la verità. Gliel’ho spiegato usando i libri per bambini pubblicati sul tema, come ad esempio Piccolo Uovo di Francesca Pardi, illustrato da Altan. E mi sono resa conto di quanto per i bambini sia un falso problema, l’accettazione riguarda più gli adulti che loro…».

Pensa che sua figlia potrà un giorno sentirsi discriminata?

«È un mio timore. Vorrei che entrasse nella cultura delle persone la consapevolezza che un bambino proveniente da una famiglia non tradizionale non fa male a nessuno... Per questo bisogna che del tema se ne parli».

Ne ha parlato anche in Senato.

«Sì. Faccio parte dell’associazione Luca Coscioni, con cui, il 7 marzo scorso, su iniziativa della senatrice Mariolina Castellone, sono stata invitata a intervenire a un convegno intergruppo parlamentare sul diritto del bambino alla genitorialità».

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